A poche settimane dalla scomparsa dell'arch Italo Lupi, l'Ordine pubblica un ricordo dei colleghi Vito Redaelli, Ico Migliore e Mara Servetto.
Incontrare Italo Lupi
di Ico Migliore e Mara Servetto, 06/07/2023
Il divagare era una delle grandi qualità di Italo Lupi. Possedeva come nessun altro un’incredibile abilità di non concentrarsi unicamente sull’argomento di discussione. Sapeva spostarsi di continuo. E questo suo modo di fare si traduceva, più che in una perdita di tempo che il divagare spesso comporta, in uno straordinario guadagno in termini di qualità e ricchezza del progetto.
Ad Italo ci legava il riferimento comune ad Achille Castiglioni, che fu suo maestro con il fratello Pier Giacomo a partire dagli anni ’60 e fu poi anche il nostro venticinque anni dopo. Conoscerlo presso lo studio dei fratelli Castiglioni è stata per noi un’importante occasione d’incontro con un compagno di molte avventure e progetti, e al tempo stesso di un grande maestro, uno di quelli che non ti dice mai come fare, ma piuttosto dove guardare, aprendoti a direzioni diverse da quelle del primo sguardo. Tanti i progetti che abbiamo avuto l’onore di realizzare insieme a lui, a partire dalla mostra Krizia Moving Shapes al MOT - Museo d’Arte Contemporanea di Tokyo (2001), i tanti progetti urbani tra cui Look of the City, per le Olimpiadi invernali di Torino del 2006, che fu il primo e più grande progetto di immagine coordinata di una città finora realizzato, fino all’ultima mostra dedicata a Saul Steinberg realizzata per la Triennale di Milano (2021), di cui Italo era anche co-curatore.
Italo sapeva incarnare naturalmente un modello di leadership che è ancora oggi per noi un esempio: è sempre stato leader pur restando dietro, con l’atteggiamento di chi è autorevole senza bisogno di imporsi. Come solo i grandi maestri, era sempre un po’ dubbioso quando qualcosa lo convinceva troppo. Non disprezzava l’imperfezione, visto come allontanarsi dal progetto di maniera ed era solito presentare tutte le soluzioni possibili sviluppate: così entusiasta del suo mestiere di progettista, amava sicuramente ben più fare il progetto, con tutte le fatiche che esso comporta, più che deliberarlo.
Grafico, progettista di allestimenti, art director di Domus e direttore di Abitare, ma sempre profondamente architetto. Dare di lui una definizione professionale univoca è cosa difficile: possedeva una concezione del progetto ampia e varia, caratteristica di tutti i maestri di quell’epoca, da Castiglioni a Magistretti. Una visione spaziale e interessata alla città abitata, alle cose abitate, alla grafica quasi come luogo.
Con lui era divertentissimo anche muoversi per le città: sembrava di partecipare a una sorta di Grand Tour. Dotato di una vastissima conoscenza e di una particolare capacità di guardare alle cose, tutto lo incuriosiva e lo appassionava. Conosceva a fondo la storia di Milano, ma non solo. Anche in sua assenza, contare sulla sua amicizia si rivelava sempre fonte inesauribile di preziosissimi consigli: era capace, con una semplice telefonata, di guidarci a distanza per le vie di Londra, città cui era profondamente legato, ma anche di Torino o di Roma, o saper scovare anche in città meno conosciute come Pordenone, raffinate architetture di particolare interesse.
Tante volte ci è capitato di parlare di lui in occasioni pubbliche: farlo però adesso che non c’è più ci impone di confrontarci con qualcosa per noi ancora troppo difficile da realizzare. Non dimenticheremo mai la sua eleganza e la sua fierezza nel mostrare misura in tutte le cose, tanto nel segno grafico quanto nelle azioni.
Un ricordo di Italo Lupi
di Vito Redaelli, 02/07/2023
E’ sempre difficile parlare di un collega che viene a mancare, soprattutto se è stato un amico da sempre. Proverò tuttavia a proporre un ricordo di Italo Lupi tra il personale e il disciplinare, in coerenza con la funzione ed il ruolo dell'Ordine professionale che ospita queste note.
Vorrei, in primo luogo, ricordare Italo come membro autorevole della comunità degli architetti milanesi nel mondo, forse il più architetto di tutti noi, senza peraltro esserlo nei modi tradizionali. Capace di valorizzare a pieno la grafica - disciplina in cui era maestro assoluto - nelle diverse scale del progetto, anche a quella a me più vicina, quella urbana: verrebbe da dire nell'"architettura grafica della citta". Penso, per fare solo qualche esempio, alle mitiche grafiche/loghi della Triennale, alla “segnaletica attiva” per le Olimpiadi invernali di Torino del 2006 progettata con Migliore+Servetto, alla sua autorevole e potente direzione della rivista “Abitare” a cavallo tra gli anni '90 e il 2000 fino alle numerose mostre allestite con eleganza e qualità da Italo. Penso anche alla sua vastissima conoscenza sulla cultura del progetto testimoniata anche dall’ultima telefonata avuta con Italo qualche settimana fa quando, uscito con Cristina dal Piccolo Teatro, lo chiamammo per avere informazione sul logo del teatro, così bello da caratterizzare lo spazio urbano della Via Rovello e Via Dante, oltre che lo stesso teatro. Nella mia ignoranza avevo ipotizzato potesse essere di Italo: ovviamente, con il suo solito stile colto ed esaustivo, ci restituì un quadro completo della storia e dell’importanza di quel logo, tessendo le lodi professionali del vero autore. Un amico, dunque, con il quale si poteva parlare di tutto sicuri di trovare risposte autorevoli ed imparare, sempre.
Il secondo ricordo riguarda invece la capacità, ed anche il piacere, che Italo aveva nel coinvolgere giovani collaboratori, in diversi modi, nelle sue attività professionali: farli crescere, offrire loro opportunità, dare consigli. Credo che in molti - architetti e non - abbiano oggi un debito di riconoscenza con lui: visto a posteriori, un momento fondamentale della loro crescita. Io certamente sento questo debito.
Si apre ora, come sempre accade in questi casi, il tema complicato della continuità dell'heritage professionale dei colleghi che ci lasciano: tra, da un lato, l'accontentarsi di quella continuità naturalmente insita nelle opere dell'autore e, in questo caso, ve ne sono molte (tra queste la straordinaria "Autobiografia Grafica" di Italo); e, dall'altro, l'opportunità di una più ampia valorizzazione ex-post a partire dal loro insegnamento etico e professionale nella società. Non tanto per una celebrazione dell’autore, che francamente non ci appassiona, ma proprio per capitalizzare il contributo che un professionista può offrire nella propria cultura-civiltà: il segno lasciato nel proprio tempo. Un tema molto difficile ma appassionante: che non a caso vede impegnati alcuni Ordini professionali tra i quali anche Milano. La posta in gioco è capire il ruolo delle nostre professioni nella contemporaneità e nel futuro: un tema particolarmente utile da esplorare con Italo visto il suo stile e generosità nella professione e nella vita, qualità riconosciute da chiunque.
In questo momento, faccio veramente fatica a capire chi possa raccogliere la sua straordinaria eredità professionale e umana. Il rischio di perdere questo heritage c'è: conservando però, con ottimismo, anche la speranza che altri ed altre possano raccogliere quell’eredità nel futuro.