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per Luca Scacchetti, sognatore e galantuomo

From 13.07.2015 to 13.08.2015

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un ricordo di Stefano Casciani dedicato all'architetto scomparso il 3 luglio 2015 a Milano

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un ricordo di Stefano Casciani dedicato all'architetto scomparso il 3 luglio 2015 a Milano.
Nato nel 1952, nel 1975 si laurea alla facoltà di Architettura del politecnico di Milano. Architetto e designer, disegna mobili, complementi d'arredo, arredi per abitazioni private, ma anche elementi di arredo urbano e allestimenti di mostre. Delle sue opere a Milano ricordiamo gli edifici di abitazione di corso Garibaldi, viale Majno e piazza Buonarroti.

Non conosco mestiere più bello dell'architetto: se sei stato bravo (e Luca lo era), sei hai progettato e costruito con serietà e dignità (e Luca così faceva), se hai fatto tutto questo con un sorriso (e Luca così sapeva fare), non solo le tue opere rimarranno per sempre ma a vederle qualcuno si ricorderà sempre di te.

Mi succedeva già passando quasi ogni giorno davanti alla sua casa costruita in piazza Buonarroti, equilibrismo dialettico tra le circostanze urbane così incerte e l'animo del poeta che sogna di riscrivere la letteratura della città. Veniva da pensare, anche con lo sguardo distratto dell'automobilista, che quel frammento di nuova Milano era un po' come lui, interessato a dire tutto il possibile in un solo componimento e allo stesso tempo timoroso dell'eccesso e della volgarità, incurante di passare dall'acquerello al mobile, dal morbido al duro, dal piccolo al grande e grandissimo: e non perché credesse in qualche fumosa omologazione - del tipo "dal cucchiaio alla città" - ma perché in fondo sentiva di sapere e di potersi misurare con tutte le scale del progetto, a patto che ne venisse al mondo una forma di racconto, un riflesso nello specchio dell'Alice sempre pronta alla meraviglia, ancora nascosta nell'animo infantile degli inventori di oggetti.

Per una strana circostanza Luca ha dato di sé stesso - per una di quelle aziende che riuscivano a capirne l'ispirazione e i desideri - una descrizione che, conoscendolo, immagino a lungo meditata e per questo riporto:                                                                                            
" ... Di animo generoso, buon amico e galantuomo insofferente alla stupidità e infastidito da tutto ciò che è vistoso, ricerca incessantemente, misura ed adeguatezza e rapporto di coesistenza tra ciò che c’era e ciò che ci sarà. "
E poi prosegue, autocritico ma non troppo, fino alla confessione più intima: "... Gode di reputazione di architetto con propria linea e stile, in realtà (chi ben lo conosce) sa che spesso non sa quello che fa, la mano spesso lo comanda e si auto-ritiene ancora un ammasso eterogeneo in una continua ricerca tra urbanistica, architettura, interni, design e letteratura scritta e disegnata... ".

Forse il segreto della sua timida sfrontatezza, di quel sorriso ironico nel prendersi sempre e comunque la responsabilità del suo progettare, sta proprio nella parola "letteratura", così propriamente qui usata. Si scrive (si progetta) anche per gli altri, perché non dimentichino - che il mondo, le città, le case, le persone hanno bisogno di bellezza, ragione, dialogo col passato e visione del futuro - e non ci dimentichino: con tutti i nostri difetti, le ansie, le collere o meglio l'indignazione verso tutto quanto si frappone tra il progetto di bellezza, ragione e visione e la loro costruzione, tra quella che Maldonado chiamò la speranza progettuale e il suo avverarsi.

In una breve, recente intervista in video, già provato dalla resistenza al male ma senza perdere il filo della sua in fondo buona predisposizione verso un mondo che buono non è (o non è abbastanza), Luca si lasciava sfuggire un sogno, un desiderio e una conditio sine qua non - l'abolizione in Italia delle Sovrintendenze: un castello in aria, un momentaneo sfogo da Don Chisciotte ma che s'intendeva ben motivato da decenni di esperienza, di anticipata sofferenza nel vedere l'obiettivo dell'architetto e del committente avvicinarsi e allontanarsi come in un demoniaco yo-yo, secondo gli accidenti e i capricci della sorte, le ubbìe degli amministratori e delle autorità preposte, le lungaggini e le incomprensioni: quella interminabile sequenza di procedure che alla fine -  nella patria di Alberti, Brunelleschi, Borromini, Terragni, Ponti, Albini, Libera, Michelucci, Rossi - impediscono ancora ai veri architetti di esprimersi, o anche solo fare architettura contemporanea: mentre lasciano spazio libero all'edilizia più becera, alle caricature della modernità o peggio ancora all' International Style da signori del petrolio.

Così mi piace allora ricordare Luca Scacchetti: come un gentiluomo venuto dal Rinascimento (meglio, un galantuomo, nelle sue parole) rimasto intrappolato, per qualche coincidenza spazio-temporale, tra quei due secoli che hanno dato speranza al desiderio democratico di espressione di tanti architetti, per togliergliela troppo presto e ridare poi il comando alla cupidigia degli speculatori, all'incomprensione e alla sottovalutazione del talento. In quest'epoca difficile, Luca ha saputo vivere e perseguire con dignità caparbia un suo sogno di bellezza e ragione, per realizzarlo tutte le volte che è stato possibile: non è poco e anche per questo ci rimarrà, per sempre, nella mente e nel cuore.

Stefano Casciani

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