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Domus. La città dell’uomo

From 02.12.2013 to 02.01.2014

Mercoledì 6 Novembre in via Solferino si è svolta una intensa serata di presentazione del nuovo corso della storica rivista da parte del suo neo direttore Nicola Di Battista. Un breve resoconto e i video

Presentazione del nuovo corso della storica rivista da parte del suo neo direttore Nicola Di Battista, ospite della serata di mercoledì 6 novembe presso il nostro Ordine, di cui vi proponiamo una breve sintesi e registrazione video. Con lui al tavolo Franco Raggi, designer, militante di lungo corso dell’editoria periodica di settore, in redazione della Casabella di Mendini dal ’71 al ’75, caporedattore di Modo dal ’77 di cui è poi direttore dall’81 all’83, e Paolo Righetti, autore di numerosi articoli per Modulo dal ’92 e de ì’Arca fino al ’97, direttore del Laboratorio Dagad/Centro di studi e ricerche sull'architettura e il design. Coordina l’incontro il consigliere Maurizio De Caro.

Con un breve video (visibile qui al minuto 15.24) dedicato ai 5 componenti del neonato ‘collegio dei maestri’, Nicola Di Battista ci ha voluto introdurre a piè pari nella filosofia che anima il nuovo corso della Domus inaugurato col numero di settembre, che ha voluto sottotitolata ‘la città dell’uomo’.
Nell’editoriale di ottobre cita Joseph Beuys, che in riferimento alla sua opera di impianto di migliaia querce a Kassel prima e altrettante di essenze varie, in modo ancor più incisivo, poi a Bolognina, nella tenuta della baronessa Durini, parla di ‘difesa della natura’. Di Battista sembra tradurre in ‘difesa dell’uomo’, inducendo il consigliere De Caro a significare ‘difesa dell’architettura’. Ma è proprio così?

La crisi che attraversiamo non è del lavoro, ma dell'identità. Non sappiamo infatti convincere i nostri interlocutori in cosa consista il nostro mestiere. Agli studenti di Mendrisio, che gli parlavano di ‘processo’ e ‘creatività’, Nicola Di Battista risponde che non sono termini che hanno a che fare con l’architettura.
Allo stesso modo, se il quotidiano la Repubblica per vendere monografie dedicate ad una selezione alquanto vaga di architetti moderni e contemporanei li definisce ‘artisti che lasciano il segno nel mondo’, si capisce quanto siamo messi male.
Allora un’azione in difesa dell’uomo, come quella che Beuys propone piantando 7.000 querce a Kassel e successivamente a Bolognina, in questa prospettiva appare impressionante e magistrale.
Ma se ieri era azione volta a significare la necessità di difendere la natura, oggi è necessaria una azione per difendere l’uomo, perché solo così si difende anche la natura.
Azione è per un professionista solo in positivo, mentre l’artista può pensare anche in negativo.

David Chipperfield lo esorta a far chiarezza nelle idee, a non riportare i progetti come farfalle di brevissimo splendore.
Hans Kollhoff invita a dibattere tra colleghi a misurarsi e misurare  il passato.
Eduardo Souto de Moura vuole che Domus torni ad essere uno strumento di lavoro, ricominciando dalla speranza progettuale.
Kenneth Frampton invece invita a far si che arte design ed architettura siano una cosa sola. Bisogna essere selettivi, di parte, con una linea editoriale riconoscibile.
Werner Oechslin propone di rimettere assieme quanto oggi è separato: arte/architettura, architettura/ingegneria, fare/pensare.
Dunque questo Collegio significa, per Di Battista, la possibilità di discutere con persone che vedono da punti di vista diversi gli stessi problemi.

Franco Raggi, facendo un passo indietro, ricorda quante giravolte ha fatto Domus negli anni, che significa poi la lungimiranza dell’editore a non sedersi su un modello.
Dei numeri già usciti apprezza invece l’alternarsi di saggi e ‘coriandoli’, ritmi sincopati per la lettura, tempi di lettura rapidi alternati a più lenti.
Oggi le riviste cartacee sono un problema, cui sempre più manca la linea editoriale, abdicando a styling e marketing.
Chiede: ma in questa serie di giravolte, tu in quale capriola ti ritrovi?

In un'altra vita ho lavorato a Domus, racconta Di Battista. Prima come assistente di Mario Bellini, direttore dall’86, poi dal ’92 come vicedirettore di Vittorio Magnago Lampugnani, infine nel gennaio ’96 siamo stati mandati via.
Esiste un adagio, una sorta di pensiero nascosto della dott.ssa Mazzocchi, l’editore: i direttori possono durare 3 anni. Il primo imparano, il secondo fanno bene, il terzo fanno affari loro e si devono cambiare.
In tempi diversi da oggi aveva sperato di tornare. Ma nel 2013 non avrebbe proprio scommesso su di se, dunque arriva sottoforma di sorpresa inattesa.

Essendo una impresa, la rivista deve vendere.
Il senso in un giornale cartaceo sta nella sua necessità. Se serve, vende.
Si sono fatte riviste per informare, le riviste nascono per questo. Ma possono diventare anche cultura.
Oggi l’informazione è internet. Ed è cambiato il paradigma: ci servono strumenti per metterci in grado di capire, e la rivista diventa approfondimento, un libro sulla scrivania che cambia ogni mese. Uno strumento necessario con al centro il lettore.  
Domus non è Di Battista, come forse invece era di Mendini direttore.
Ci sono poi riviste di tendenza e ne è esempio illustre Loos che con ‘das andere’ faceva i conti con se, fa uscire 3 numeri e chiude.
Domus è di tutti, con quasi 1.000 numeri che significano 100 anni di storia. Trasformarlo in magazine non è possibile, o è necessaria o non esiste. L’abitare dell’uomo in tutte le sue parti: interni, design, arte . è necessario oggi avere uno strumento così, che non si confronta ma che è altro dal web.

De Caro sottolinea come 8 direttori in 20 anni sia una via impegnativa quanto sperimentale. L’alternanza come ricchezza e libertà.

Paolo Righetti vede interessante l’insieme di espressioni che rappresentano i saggi e pone l’accento su due temi: la formazione , di cui le riviste sono state strumento per definizione.
E la razionalizzazione, per cui Domus fa solo la rivista e non altre cose.

Concorda Nicola Di Battista riguardo la dissipazione del tutti fanno tutto. O meglio:fanno finta di fare. il mestiere vero non può, il panettiere non può. Questo dobbiamo tornare a fare: dare contenuto alle forme che andiamo a realizzare. Che significa decidere che fare e perché, dare forma a quanto deciso. Domus vuole seguire l’abitare a largo spettro, per questo sottotitola da ‘l’arte della casa’ a ‘città dell’uomo’. L’Europa sapeva costruire la città quando la gente viveva in campagna. Oggi è l’inverso, la gente vive in città e non sappiamo più farle.
Se parlare di non luoghi non ci aiuta, non serve, afferma.

De Caro domanda: il comitato scientifico sono quelli che fanno l’oggetto o sono i venditori?

Nicola di Battista puntualizza di nuovo, ammonendo: le parole sono pietre. Il ‘collegio (qualcosa che sta insieme)  dei maestri (che sono cosa necessaria)’,  non è a effetto testimonial, ma sono maestri riconosciuti e a lui vicini. Così infatti sintetizza la scelta dei suoi componenti: Souto de Moura perché amico, Chipperfield cresciuto con Domus,  stessa consuetudine con Kollhoff. E poi: Kenneth Frampton è un ragazzino di 82 anni, e infine Werner Oechslin è uno che sa tutto, indispensabile in ogni compagine.
Con loro per ora condivide una aspettativa riguardo il futuro della rivista e lo sguardo in positivo sulle cose del mondo. Avranno un’occasione ciclica di incontro e costanti confronti sul dibattito contemporaneo.
Ma anche su dettagli costruttivi e temi tecnici –come il ‘coriandolo’ di Souto de Moura dedicato al paramento in losanghe di pietra 15x20x4 metri.
In questo senso ‘pratico’ si aggiunge il ‘centro studi’, composto da professionisti che vivono il mestiere con passione e in prima persona e per questo disponibili a mettersi in discussione.
Oggi le riviste sono un convoluto di fesserie, è determinante rifarsi alla critica e non alle chiacchiere.

Dal pubblico chiedono se la crisi di identità dell’architetto è corrisposta pubblicando architettura di qualità? Inoltre un ulteriore approfondimento riguardo a cosa serva il centro studi.
Nicola di Battista non abituato a parlare così tanto, meglio tradurre quanto detto in rivista.
Riassume la struttura editoriale: molta attenzione nell’editoriale, cui fa da contrappunto un elzeviro richiesto a non architetti. A seguire la rubrica ‘progetti’, pubblicati senza commento critico, ma dalla relazione dello stesso progettista. Se poi il progetto rimane nella memoria, dopo qualche mese viene proposta anche una critica puntuale.
Nei coriandoli è poi previsto un focus dedicato alla formazione, espresso attraverso il racconto dell’attività dei vari docenti di volta in volta invitati.
Il ‘centro studi’ sarà infine uno strumento attraverso cui confrontare punti di vista differenti sul mestiere. Una invenzione dal passato illustre –basti pensare al mitico centro studi di Ernesto N. Rogers- di cui si dice un prosaico continuatore dedito al mestiere.

Franco Raggi apprezza la diversità di sguardi e le invenzioni diverse. Suggerisce editoriali più brevi, perché siano fisiologici ma non prosaici. Apprezza che sia ammesso l’imprevisto, cosa che in Casabella continua a non riuscire a vedere, annoiandosi un poco anche per questo.
Paolo Righetti apprezza le intenzioni, chiede che vi sia spazio per progetti ‘belli e invisibili’ anche in termini di dimensione. Così come un rapporto con le redazioni di riviste altre e lontane.
Con consueta ironia infine Maurizio De Caro chiosa: ma quando tra 30 anni la dott.ssa Mazzocchi dirà cambio direttore, cosa vorresti rimanesse?

Ne parliamo un’altra volta, risponde paziente Nicola Di Battista.
Buon lavoro, direttore.

Francesco de Agostini

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