From 11.06.2013 to 11.07.2013
Giovedì 30 Maggio serata dedicata allo studio milanese che per circa 40 anni ha contribuito alla formazione della figura dell’architetto urbanista condotto
Giovedì 30 maggio serata dedicata allo studio milanese che per circa 40 anni ha contribuito alla formazione della figura dell’architetto urbanista condotto.
Qui il video integrale dell'incontro.
Nell’introdurre la serata dedicata al Collettivo di Architettura, Marco Engel invita tutti a collocare quanto raccontato nel periodo storico, politico e culturale e anche sociale degli anni del dopoguerra, di cui lui ha potuto cogliere solo gli ultimi bagliori. Anni in cui parlare di società non era scindibile dal concetto di lotta di classe: cosa rimane di tutto questo?
Manuele Salvetti, redattore del sito dell’Ordine e laureatosi con una tesi dedicata al Collettivo e curata dal professor Marco Biraghi, sottolinea il ruolo di Milano come principale centro culturale in Italia e in particolare della Casa della Cultura, diretta da Rossana Rossanda dal ’49 al ’62. Non da meno le iniziative che segnano la disciplina del periodo, dalla Triennale di Bottoni e il QT8 del ’47 alle schede di Diotallevi Marescotti.
Lo studio nasce in continuità con la cellula comunista di facoltà nel 1949, i cui fautori e soci fondatori sono: Gae Aulenti, Fredi Drugman, Vincenzo Montaldo, Arturo Morelli, Giorgio Morpurgo, Giuliano Rizzi, Novella Sansoni, MariaLuisa Sormani.
Legati sin da subito alla ‘Lega dei Comuni Democratici’, all'interno della quale ogni componente dello studio si occupava singolarmente di tre-quattro Comuni, divengono presto riferimento per lo sviluppo dell’edilizia scolastica, residenziale popolare e appunto urbanistica locale, arrivando ben presto ad occuparsi di interi comparti cittadini, come nel caso di Vincenzo Montaldo a Bollate.
Alessandro Tutino ricorda che agli inizi la figura di riferimento era quella dell’intellettuale organico: non voler essere borghesi e al contempo comunisti -magari solo dopo le 6 di sera- quanto piuttosto assumersi la responsabilità di un ruolo etico e sociale integrale. L’ideologia sui tavoli da lavoro. La politica non era intesa solo come scelta etica, ma come "strumento che contribuisce al rinnovamento della società in senso socialista". L’evoluzione della professione e della società, in cui allora era possibile privilegiare una certa committenza: in primis Amministrazioni e Cooperative a proprietà indivisa.
L’organizzazione dello studio era apparentemente semplice: venivano retribuite le ore lavoro, per cui a prescindere di chi otteneva l’incarico, secondo un esplicito sistema mutualistico collettivo.
Tutino ricorda due aspetti importanti: il ruolo di Novella Sansoni come consulente per il Ministero della Pubblica Istruzione per la stesura della legge sulla nuova edilizia scolastica e la coesione che ha comportato una iniziale facilitazione per tutti, ma che col tempo ha comportato la rigidità dello sviluppo del lavoro.
Giuliano Rizzi ricorda il clima di strategia professionale degli inizi. Il passaggio dall’attività clandestina, il clima di ansia e allo stesso tempo di speranza nella rivoluzione, cui si credeva profondamente, senza alcun fanatismo. La crescita dello studio, agli inizi con allestimenti in Fiera, poi un piccolo incarico dalla famiglia di Gae Aulenti per una casa di abitazione a Biella, poi qualche cooperativa dallo studio di Marescotti. Quindi i Piani, con Bottoni.
Ricorda il rapporto umano con i sindaci come con i cooperatori, quelli storici di mutuo soccorso e a proprietà indivisa. E poi la battaglia contro le coree, le occupazioni così come le costruzioni abusive e speculative. Poi lo sfarinamento, l’uscita di Fredi Drugman, Gae Aulenti, lui stesso.
Per Vincenzo Montaldo è stata la presenza totalizzante del Collettivo – anche nella vita privata – a costituire la motivazione che lo portò a lasciare lo studio nel 1975.
Il Collettivo contrastava con l’idea della casa di proprietà per ciascuno – sostenuta invece dalla Dc che voleva costruire una società di piccoli capitalisti – perché andava a scontrarsi con la flessibilità del lavoro. Infatti, la parcellizzazione del terreno ostacolava l’espansione e gli investimenti sul territorio.
Divertente l’aneddoto di Montaldo relativo alle casi popolari. Nelle cucine degli alloggi, il modulo che usava faceva riferimento alla cucina di Francoforte –quindi 1,80 m. x 2,40 m. : presentando un progetto fu attaccato da alcune donne le quali sostenevano che quella era una cucina da schiavitù, rispetto agli spazi del soggiorno, che segregava la donna ai lavori domestici. Idem con l’idea di concepire degli spazi di lavanderia comuni, con l’intento di creare posti di socializzazione, considerati di nuovo luoghi di segregazione.
Alfredo Viganò, che entrò nel Collettivo nel 1971, dopo essersi laureato con Morpurgo, ricorda come le forti migrazioni del dopoguerra, che significavano 3-4 milioni di persone che si spostavano al nord, poneva gravosamente la necessità di garantire loro una sistemazione rapida e adeguata.
Anche lui pone l'attenzione sullo specializzarsi dello studioo sui temi della casa, della scuola e dell’urbanistica. Riconosce il tramonto del Collettivo forse legato ai sempri maggiori impegni politici di molti dei suoi componenti. Lui stesso come sindaco di Muggiò e poi di Monza. Il legame di politica e professione, che oggi viene definito conflitto di interesse, allora era una opportunità e non un problema, forse perchè era tutto più trasparente.
Dal pubblico finita la tornata di interventi degli ospiti, Fabrizio Schiaffonati ricorda l’importanza del Collettivo per la sua generazione, il cruciale ruolo del loro lavoro per trasformare la casa popolare in residenza sociale anche nell’urbanistica italiana. Invita e sollecita poi Viganò a scrivere la storia del gruppo, come accennato nel suo intervento, a testimonianza di un agire prezioso.
Franco Aprà, sempre dal pubblico, testimonia quanto il Collettivo abbia inciso non solo attraverso la sua eccezionale produzione, quanto piuttosto nel ruolo formativo che ha avuto nei confronti di molti studenti che svolgevano la pratica tra i tavoli di disegno del gruppo.
Alessandro Tutino a chiusura non resiste a ricordare il suo personale contributo alla stesura della legge 765 per la definizione degli Standard, in qualità di membro del comitato tecnico di PIM.
Avercene oggi…