From 13.02.2013 to 16.03.2013
Ci ha lasciato il13 febbraio uno dei più grandi fotografi documentaristi europei. Indelebili le sue foto in bianco e nero dedicate alle città del mondo
Gabriele Basilico è stato uno dei più grandi fotografi documentaristi europei.
Nell'ultimo anno e mezzo aveva combattuto contro una grave malattia, e le sue condizioni erano peggiorate nelle ultime settimane, tanto da dover essere ricoverato in ospedale. Si è spento a Milano martedì 13 febbraio 2013.
Nato a Milano nel 1944, i suoi studi di architettura lo avvicinano all’analisi delle aree urbane, del territorio e dell'architettura. Le sue fotografie sono pressoché esclusivamente in bianco/nero e i suoi campi d'azione privilegiati sono stati appunto il paesaggio industriale e urbano.
Il suo primo lavoro importante nel 1982, un ampio reportage sulle aree industriali milanesi: Ritratti di fabbriche(Sugarco).
"Ho sempre pensato che i miei "ritratti di fabbriche" nascessero dal bisogno di trovare un equilibrio tra un mandato sociale - che nessuno mi aveva dato, ma che era la conseguenza dell'ammirazione che io provavo per il lavoro dei grandi fotografi del passato - e la voglia di sperimentare un linguaggio nuovo, in grande libertà e senza condizionamenti ideologici"
Questo lavoro gli dà grande visibilità e due anni dopo è invitato dal governo francese insieme ai grandi della fotografia internazionale alla Mission Photographique de la DATAR impegnati a documentare le trasformazioni del paesaggio transalpino, il cui contributo è esposto nella grande collettiva a Parigi nel Palais de Tokyo (1985).
Seguono anni di intenso lavoro in cui si alternano commissioni pubbliche e ricerche sul territorio che sono state raccolte in libri "culto" come: Italia &France (Jaca Book), Bord de Mer (AR/GE Kunst), Porti di Mare (Art&), Paesaggi di Viaggi (AGF), Scambi (Peliti), L' esperienza dei luoghi (Art&) .
Nel 1991 visita per la prima volta Beirut, cui segue dopo pochi anni Basilico Beyrouth (1994).
Segue la partecipazione nel 1996 alla VI Biennale di Architettura di Venezia con il progetto “Sezioni del paesaggio italiano”, campagna fotografica realizzata con Stefano Boeri, in occasione della quale riceve il premio “Osella d’oro” per la fotografia di architettura contemporanea.
Continuano i viaggi e le mostre tra l’Europa, l’America e ancora Beirut dove torna a fotografare la città nel 2003 per la rivista “Domus”.
Anche Istambul è oggetto di sue ricerche distanti nel tempo Istambul 05 010 (Corraini 2010), e le tante città successive: Roma, Mantova, Berlino, e ancora Milano.
Milano è la città di cui ha realizzato un "ritratto collettivo" ed è stato il laboratorio in cui si è andato strutturando un metodo progettuale che in seguito è tornato ad usare "nelle altre città”.
"Riflettendo a posteriori su tutti i miei viaggi, su questi passaggi urbani, questo andar per luoghi, mi sembra che una condizione costante sia stata l'attesa di ritrovare corrispondenze ed analogie. La disposizione affettiva che guidava, oggi lo so bene, i miei spostamenti e la mia curiosità, mi portava e mi porta a eliminare le barriere geografiche: questo non significa che tutte le città debbano forzatamente assomigliarsi, ma significa che in tutte le città ci sono presenze, più o meno visibili, che si manifestano per chi le vuole vedere, presenze famigliari che consentono di affrontare lo smarrimento di fronte al nuovo"
Di seguito alcuni ricordi di amici e colleghi:
Lo sguardo di Gabriele Basilico era limpido e privo di retorica. Il suo bellissimo libro Lezioni di Fotografia racconta di questo sguardo, penetrante, coraggioso e non affrettato. Da architetto decise di usare la fotografia come strumento di indagine oggettiva ma non fredda, su una realtà urbana in caotica e problematica trasformazione. Per poter capire bisogna saper vedere. Gabriele aveva la rara attitudine di porsi nella condizione di lasciarsi sorprendere dalla realtà e di fermarla con il suo sguardo, non da cronista.
Nel 1978 per la rivista MODO progettammo insieme una campagna fotografica nelle discoteche/balere del riminese. Gabriele capì e documentò con scrupolo e passione la vitalità figurativa popolare ma spontanea di quelle architetture del divertimento. Ne colse con l'obiettivo la novità ambientale e antropologica.
Qualche anno fa collaborò per il nostro Ordine alla mostra Expo dopo Expo, suggerendo giovani fotografi per rilevare senza sensazionalismi gli imbarazzanti resti delle ultime Esposizioni universali europee. Lui stesso scelse Saragozza per testimoniare in visioni quasi metafische la fragile ma ingombrante "ideologia dei padiglioni" . Con il suo lavoro ci lascia una bellissima lezione sulla fotografia militante e sulla necessità dell'immagine come strumento conoscitivo e critico utile sia prima che dopo il progetto di architettura. Perchè Gabriele era architetto.
Franco Raggi