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Quello che le altre riviste non scrivono

From 20.11.2012 to 21.12.2012

Lo scorso giovedì 15 Novembre presso la Biblioteca dell'Ordine si è svolta una tavola rotonda dedicata alle riviste autoprodotte Studio©, San Rocco e CityVision. Ecco il report

Lo scorso giovedì 15 novembre, presso la Sala della Biblioteca dell’Ordine, si è svolto l’incontro “Pagine autoprodotte” dedicato alla presentazione di tre progetti editoriali: presenti Romolo Calabrese per Studio©, Matteo Ghidoni per San Rocco e Francesco Lipari per CityVision, accompagnati ciascuno da personalità del mondo dell'architettura che hanno avuto modo di offrire i loro contributi alla redazione di un numero delle loro riviste: rispettivamente Marco Introini, Francesca Benedetto e Italo Rota.

L’incontro – sottolinea Franco Raggi nel discorso di apertura alla discussione – nasce dall’esigenza di approfondire il fenomeno dell’editoria autoprodotta, ovvero riviste di architettura che nascono dall’urgenza di trasmettere tematiche e metodologie critiche “altre”, colmando delle “zone d’ombra” lasciate dall’editoria tradizionale.

La tavola rotonda si è aperta con la presentazione dei tre progetti da parte dei rispettivi editor: dal dibattito sono emersi in prima analisi alcuni elementi comuni, come l’uso della lingua inglese (che nei casi di Studio© e CityVision è affiancata all’italiano), la volontà di non entrare nel dettaglio dell'esposizione delle architetture ma esprimere ciò che sta intorno ad esse, facendo emergere la cultura progettuale e la visione disciplinare che sottintendono, la convivenza tra carta e web, sviluppando piattaforme che possano valorizzare ciascun mezzo di comunicazione secondo le specifiche peculiarità, la scelta (o necessità?) di rivolgersi all'esterno per la produzione dei contenuti, tramite il sistema della "call for papers" per le due riviste milanesi e il concorso di idee per quella romana; infine, il carattere monografico di ciascun numero, che approfondisce un unico tema o ambito geografico.

Romolo Calabrese di Studio©, il primo dei tre editor a prendere parola, ha descritto le modalità con cui viene realizzata la rivista, l’organizzazione della redazione, l'importanza del web e della struttura di scrittura “aperta”, il lavoro della redazione che seleziona i contributi inserendoli in una sequenza che sia in grado di arricchirne e valorizzarne il senso.

Francesco Lipari di CityVision spiega come la rivista sia nata dal bandire un concorso di idee con struttura aperta e a sottoscrizione, avente come tema il futuro della città di Roma. Sull’onda del successo dell'iniziativa è stato possibile reperire i fondi per stampare la rivista, che viene sorprendentemente distribuita in free-press. Questa esperienza ha consolidato un format che si ripropone di numero in numero dal 2010, occupandosi ad ogni uscita di una città differente. La redazione si configura così come un laboratorio progettuale e un centro documentazione, che recentemente è stato anche in grado di interfacciarsi con le amministrazioni cittadine per mettere a disposizione la propria fucina di idee, collaborando intelligentemente alla definizione di alcuni elementi della pianificazione urbana.

Matteo Ghidoni di San Rocco pone in evidenza invece l’intento ri-fondativo della rivista, il cui piano editoriale è già definito dal primo all'ultimo dei venti numeri previsti, ciascuno riferito ad un tema. Questa impostazione nasce dal riscontro di un’insufficienza dell'odierna critica di architettura, che definisce più simile ad un “intrattenimento culturale” che alla profonda analisi della realtà quale in effetti dovrebbe essere: tale obiettivo si raggiunge pertanto ponendo la necessaria distanza dalla cronaca più contingente (motivo per cui San Rocco non espone architetture appena uscite dal cantiere ma che abbiano almeno avviato un seppur minimo processo di "storicizzazzione") per favorire uno sguardo analitico sulle problematiche disciplinari e attrezzarsi di fronte alle più generali sfide del futuro del mestiere dell'architetto. Riallacciare, dunque, il filo rosso di un discorso arenatosi intorno agli anni Settanta del Novecento, quando si è interrotta la grande tradizione dell'architettura italiana, della quale lo stesso nome della rivista è un tributo (San Rocco è infatti un progetto mai realizzato di Aldo Rossi e Giorgio Grassi per l'omonimo quartiere di Monza).

A seguito delle introduzioni degli editor, la discussione è stata arricchita dai brevi interventi “contributori”. Francesca Benedetto ha fatto emergere il rapporto che lega la costruzione del paesaggio alla pianificazione della città servendosi dei lavori di Olmsted per Central Park e Washington come casi studio esemplari.

Marco Introini invece ha evidenziato l'utilità del processo metodologico che la rivista Studio© ha utilizzato nel suo primo numero, dove sono stati “rimescolati” alcuni suoi scatti fotografici tratti da lavori differenti: ne è scaturita una sequenza inedita che ha fatto “rivivere” ciascuna delle singole foto ridefinendone il senso.

Italo Rota, invitato per aver preso parte alla giuria del concorso su Roma indetto da CityVision, si concentra invece su quello che queste riviste scelgono di non trattare, quelli che lui percepisce come limiti rispetto alle urgenze della contemporaneità. Ad esempio, le riviste non accennano ai problemi dell’ecologia e del risanamento del territorio (mentre gli ospiti parlavano, a Roma il Tevere stava ancora esondando dai suoi argini a causa delle precipitazioni dei giorni scorsi ndR) che sono solitamente considerati considerati al di fuori degli ambiti disciplinari dell'architetto e che invece secondo Rota potrebbero essere ampiamente compresi; oppure il tema del riequilibrio tra spazi pubblici e privati, dato che nelle moderne metropoli tutto viene sbilanciato fatalmente verso il secondo; oppure ancora la sfida alla cultura del “cinismo alla Rem Koolhas” che, vincente negli ultimi decenni, andrebbe affrontata criticamente opponendovi una visione etica (secondo Rota, Koolhas e i suoi epigoni non tengono in nessun conto il “male” che hanno arrecato con le loro opere all’ambiente e alla vivibilità delle nostre città). In effetti, tutto ciò riporta all’urgenza – come sottolinea anche Introini – di tornare ad un’idea civile di architettura, ad una concezione del mestiere che comprenda la consapevolezza di recare un “servizio” alla collettività e non solo come mezzo per una personalistica affermazione del proprio ego o semplice propaggine affaristica.

E – sottolinea Ghidoni – sono proprio i limiti che ci scegliamo ad essere importanti: spesso quello che ci imponiamo coscientemente di non fare costituisce una rivendicazione più efficace – benché silenziosa – di quello che invece molti affermano di voler fare, spesso fermandosi all'enunciazione. Delineare una propria visione del mondo “per negativo”, attraverso ciò che si esclude, non equivale forse a far emergere al contrario una propria etica del mestiere?

Che sia forse questo il modo migliore, oltre che il più urgentemente attuale, di essere architetti?

Alessandro Sartori

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