From 10.09.2012 to 10.10.2012
Giovedì 6 settembre ha avuto luogo al Macef un incontro dedicato all'attualità del negozio di vicinato come motore di riqualificazione urbana
Nel quadro delle iniziative del Macef –Salone internazionale della casa- giovedì 6 settembre si è svolto un curioso convegno dedicato al negozio di vicinato come motore di riqualificazione urbana, o meglio: il progetto del nuovo retail per la città contemporanea.
Introducendo il convegno, il presidente dell’Ente Fiera Michele Perini da i numeri.
93° manifestazione con player internazionali, non solo asiatici o sud americani, ma anche africani e del Golfo.
20% di stranieri ospiti in più rispetto agli anni passati: perchè non bastano buoni prodotti o buone idee, ci vuole il marketing, anche quello territoriale.
60 manifestazioni organizzate all’estero, tra cui le edizioni del Macef in Russia e in India: perchè si va fuori per portare dentro, secondo una tradizione tutta italiana del saper fare –e che dovrebbe diventare un saper essere.
Paola D’Amico, giornalista del Corriere della Sera e per l’occasione coordinatrice dell’incontro, coglie il pragmatismo dell’intervento per chiedere cosa sia un negozio oggi, che ne chiudono a centinaia.
Maurizio De Caro, nella veste di presidente della Fondazione Colore Brianza, sottolinea come questo incontro non intenda lanciare il progetto ma un tiser (una sorta di promozione a premessa di un vero e proprio progetto, ndr), di cui scorrono alle spalle dei relatori alcune immagini, mentre obiettivo dell'incontro sarà il problema antroposofico: cosa vogliamo nel futuro della città?
L’identità è nella strada, e per questo considera parlare di negozi una operazione legata alla nostalgia, etimologicamente parlando nel senso del ‘tornare a casa’.
Se alla Biennale si parla di Common Ground, qui si sottolinea ground: il piano terra, la bottega, ovvero il negozio di vicinato. È necessario coniugare nostalgia ed innovazione (digitale). Questo riscatto parte da “dopo l’occidente” di Ida Magli (BUR 2012), in cui a detta del relatore ben si rappresenta come i sistemi aggrediti dall’esterno perdano identità. Va dunque prima recuperata questa identità per poi coniugarla con l’urbanistica.
Gianroberto Costa, Segretario generale conf commercio, propone alcuni esempi.
Il carattere di via Meravigli, lungo la quale via via hanno chiuso le attività commerciali, condiziona anche le attività di corso Magenta. Per capirlo è necessario tornare ad analizzare i flussi pedonali: oggi più nessuno va da piazza Cordusio a corso Magenta a piedi. Lo stesso è accaduto a via Mazzini.
Milano negli anni ’80 era la 5° città al mondo in termini di offerta (dopo New York, Londra, Hong Kong e Parigi). Oggi è la 37° -e abbiamo ancora la moda. Non siamo più una città glamour, e mettere EXPO accanto alla fiera rende ancora più fondamentale il fuorisalone: avremo almeno 50.000 persone al giorno da orientare nella città.
Il governo Monti liberalizzando il commercio ha tolto agli enti locali i poteri di indirizzo dello sviluppo e localizzazione degli esercizi. Dall'altro lato, ALER aumenta il canone d’affitto per i negozi: c’è proprio qualcosa che non va.
Paola D’Amico insiste: pare che ALER ponga l’obbligo di pagamento degli arretrati a chi vuole entrare in propri locali commerciali sfitti: non certo una politica di agevolazione dunque. E rivogendosi ad Aldo Castellano si chiede: ci sono realtà come il Gallaratese che meriterebbero di morire, ridotti a 2 centri commerciali e un bar cinese. Perchè non demolire? E cos’è la strada?
Aldo Castellano, docente di storia contemporanea al Politecnico, risponde alla prima domanda attraverso un noto esempio: l’Altare della patria. Da sempre definito un eco-mostro, che ha stravolto l’assetto non solo viabilistico romano, è stato in un recente dibattito assolto dalla critica, Portoghesi in testa.
Del resto anche Le Corbusier scriveva, all’indomani della prima guerra mondiale, che finalmente si ponevano nuove occasioni per lavorare.
Ma, si domanda, siamo proprio sicuri che demolendo miglioriamo? Un atteggiamento ben più pragmatico suggerisce la via della riqualificazione. Le torri al Garibaldi di Milano di Laura Lazzari rifatte sono meglio? Riqualificare è atteggiamento compatibile, attraverso attento ed armonico intervento.
La strada è uno dei termometri dello stato di salute della città, registra i movimenti peristaltici. Cambia col gusto, le mode, si riempie o si desertifica. Oggi gli architetti volgono le spalle alla strada. Invece è il nucleo fondante della città, nella sua dinamica, e non solo di vicinato.
Maurizio De Caro sottolinea come il Gallaratese sia un esempio del modello urbano moderno: il problema, suggerisce, non va visto nell’estetica originaria, ma è un problema di gestione: parliamo di ALER.
Del resto la prima Biennale di architettura venne dedicata alla costruzione di una strada, ‘la strada novissima’.
Michele Perini, dal pubblico, interviene: è determinante considerare il contesto dell’intervento. Milano è rettangolare: perchè negli ultimi anni vengono proposti progetti 'tondi'? E se se lo chiede il presidente di Ente fiera...
Per rispondere Maurizio De Caro cita Rem (Koolhas, ndr) ed il suo “Fuck the contest”: è determinante l’influenza di questo suo atteggiamento sull’architettura contemporanea.
Andrea Tosi, esperto di business design della Domus Academy, ringrazia De Caro per averlo invitato a commentare il suo progetto, che essendo ancora aperto è libero dai vincoli della burocrazia. Si chiede dunque cosa potrebbe ospitare questo spazio, e come utilizzarlo.
Racconta della sua esperienza di formazione. Oggi, afferma, è facile accedere alla produzione, alla comunicazione e persino alla commercializzazione: Internet fornisce tante occasioni di presentazione per progetti ‘frugali’ –ovvero fatti in casa- e questo consente nella città di accorciare la filiera, di unire business a project. Ovvero una sorta di ‘fiera continua’.
Ciò che manca in italia, afferma, è la cultura del fallimento, propria del pensiero anglosassone. In italia il fallimento è collegato ai suoi estremi, che sono il furto e il suicidio. Deve invece essere riconosciuto come valore formativo.
Costa non regge: a Milano, l’80% delle imprese start up non durano più di 9 mesi: Tosi, a suo avviso, esprime ottimismo positivo ma non costruttivo. Bisogna parlare anche di preparazione tecnica allora.
La verità, continua, è che la proprietà immobiliare è causa di crisi per la città di Milano. Per primo il Comune che con il proprio patrimonio fa cassa e non fa mercato –e porta l’esempio della locazione degli esercizi in Galleria (...). Il vero problema è che non esiste una politica degli affitti. Le opportuntà sarebbero tante: i temporary shop, le gallerie d’arte, gli antiquari.
Paola D’Amico introduce al volo il tema dell’omologazione dei negozi per zone urbane.
Ancora Gianroberto Costa: l’omologazione, o il monomarca, nel mondo è definito ‘all’italiana’ ed è stato ampiamente esportato. La nostra cultura è apprezzata nel mondo fin nelle sue misure. I nostri architetti sono bravi, ma non si sanno comuncare.
Dal pubblico chiedono in diversi la parola. L’arch. Zippoli sottolinea come l’amministrazione abbia abdicato rispetto a come si fa una strada. I portici? Che fine hanno fatto? Questo perchè i negozi non valgono come la residenza con giardinetto. È l’amministrazione che deve avere un ruolo in qualche modo limitativo, permettendo agli architetti di non soccombere alle richieste speculative della committenza.
La prof. Risori dell’accademia di Brera sottolinea come nella mappatura della città i giovani abbiano perso ciò che definisce "il flaneurismo parigino": manca identità, e sottolinea come invece le strade tematiche siano nella storia della progettazione delle città, come racconta Marco Romano. A Milano mancano luoghi in cui i giovani riescano a trovare identità. Questo incontro avrebbe dovuto svolgersi in strada...
Stefano Boeri, in veste di assessore alla cultura, al telefono si scusa per la mancata partecipazione, sottolineando la necessaria continuità nei termini commercio/ strada/ abitabilità.
Costa e De Caro concordano sulla necessità di proporre alla politica idee e programmi, come sarebbe dovuto avvenire in questa occasione. Ma perchè funzioni bisogna trovare gli interlocutori giusti.
In questa chiave vengono presentati gli assessori di Lissone rispettivamente alla cultura, che sottolinea la necessità del dialogo imprenditoria/cultura, e delle attività produttive, che parla di rete.
Dal pubblico infine Mario Mastropietro, da anni organizzatore di master in allestimento e retail al Politecnico. Ricorda come 20 anni fa gli Outlet proposero l’identità dei centri storici. Forse oggi sta accadendo il processo inverso. Ma è necessario per questo una interlocuzione con l’amministrazione che passi attraverso piani di zona specifici.
Restiamo dunque in attesa della presentazione del progetto.