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Architettura arte collettiva

From 09.07.2012 to 09.08.2012

Giovedì 5 luglio si è svolto un incontro sul libro di Enrico Arosio "Piccoli incontri con grandi architetti", introdotto da Franco Raggi. Ospiti Michele De Lucchi e Italo Rota

Giovedì 5 luglio alle ore 21 si è svolto un incontro dedicato al libro di Enrico Arosio intitolato “Piccoli incontri con grandi architetti” edito da Skira. Ospiti, oltre all’autore, due noti architetti italiani, Italo Rota e Michele De Lucchi, introdotti da Franco Raggi.

Il libro è composto da una serie di interviste realizzate dall’autore tra il 1997 e il 2012. La pratica dell’intervista – sottolinea Franco Raggi in apertura – è un’arte dialogica, in cui l’intervistatore sollecita risposte agli interlocutori su temi predisposti all’interno di una finzione scenica sapientemente costruita.

La finalità del volume – spiega Enrico Arosio – è inserire l’architettura all’interno dell’informazione "generalista", nel senso positivo del termine, per farla diventare patrimonio culturale dei cittadini: attualmente viene ancora considerata un tema sofisticato, da “specialisti”. L’architettura - prosegue Arosio - è inevitabilmente un fatto “politico e civile”, oseremmo dire “collettivo”: se un architetto lavora bene ne parliamo ancora dopo oltre 500 anni mentre se invece commette un errore, questo continua ad esercitare i suoi effetti negativi per almeno 50 anni, approssimativamente la vita media di un edificio contemporaneo. Senza però contare i danni che può fare una cattiva pianificazione urbana, per la quale le conseguenze possono durare secoli.

Dunque l’architettura sembra troppo importante per lasciarla ai “soli” architetti ma deve appartenere a tutta la società civile. E' questo lo scopo del volume, dove vengono presentate le personalità di 28 noti architetti attraverso un linguaggio semplice e comprensibile: Massimiliano Fuksas, Elizabeth Diller, Matthias Sauerbruch, Italo Rota, Kazuyo Sejima, Winy Maas, Jacques Herzog, Coop Himmelblau, Kengo Kuma, Benedetta Tagliabue, Peter Zumthor, Peter Eisenman, David Chipperfield, Rem Koolhaas, Renzo Piano, Stefano Boeri, Michele De Lucchi, Kurt W. Forster, Mimmo Paladino, Finn Geipel, Giulia Andi, Rolf Fehlbaum, Santiago Calatrava, Ettore Sottsass, Alessandro Mendini, Philippe Starck, Mario Botta e Vittorio Gregotti. Si tratta di personaggi di rilevanti, non tanto perché tutti necessariamente “bravi” ma per il loro peso specifico, per l’aver lasciato significative tracce nella cultura architettonica (e di conseguenza, nelle nostre città) attraverso lavori teorici e opere.

Forse proprio per questa responsabilità sociale, inevitabilmente connessa al proprio mestiere, Italo Rota sostiene che l’architettura debba superare la “libido” del costruire: paradossalmente, un architetto che risolve un problema urbano senza edificare nulla, ha svolto il suo compito nella maniera migliore possibile. Perché quello che conta sono le idee che si hanno sulla città, e sono quelle a dover prevalere attraverso gli strumenti del proprio mestiere e non tanto il personale “segno” narcisistico.

A proposito di maestri, Michele De Lucchi evoca i riferimenti “omerici” della sua vita, Achille (Castiglioni) ed Ettore (Sottsass): tanto disinvolto e loquace il primo, quanto serio e sempre intento a disegnare il secondo. In particolare De Lucchi - sottolinea Raggi citando Sottsass - sembra essere entrato da diversi anni in una fase professionale talmente intensa che non ha più tempo di “guardare il mondo con occhi perplessi”. Tanto più che, con riferimento ai suoi primi anni di attività legati alle avanguardie, sembrava nato incendiario ed è invece diventato pompiere, stando alle sue opere recenti. Forse questa sua parabola professionale ha qualcosa a che fare con i temi sollevati stasera, con l'urgenza dialogica dell’architettura.

Perchè l’architettura, in fondo – chiude Arosio citando Renzo Piano - è un’arte imposta: non se ne può fare a meno.

Alessandro Sartori

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