From 15.06.2012 to 16.07.2012
Breve resoconto della serata del 14 giugno, primo appuntamento del ciclo Natura Architettura Paesaggio, dedicata alle sfumature tra elemento vegetale e struttura antropizzata
Il Vice Presidente dell'Ordine Franco Raggi introduce questa serata dedicata alla fusione tra architettura e paesaggio, a quel sistema disegnato che oggi ha un fondamento disciplinare consapevole.
A seguire Raffaella Colombo - anima di questo ciclo di incontri e docente di "Analisi e progetto del giardino contemporaneo" al Politecnico di Milano - introduce il tema affermando che spesso in Italia il paesaggista viene riconosciuto come colui che inserisce le essenze vegetali. Un botanico. Ma non è così. Da sempre l'uomo è in cerca di protezione e di relazione con la natura. Osservando gli ambiti naturali, il delta dei fiumi, i tracciati umani e le orme degli animali, notiamo infiniti esempi di confine tra natura selvaggia e paesaggio antropizzato. Legno, pietra, bambù, paglia e terra passano con rapidità da natura a architettura. Sono sistemi spesso fragili che torneranno natura. Dalla letteratura delle architetture vegetali rinascimentali italiane; ai teatri di verzura; alle mud architectures indiane, iraniane, dei villaggi Dogon e camerunensi; alle earth-bags houses in autocostruzione; alle vernacolari strutture lignee delle case da tè di Terunobu Fujimori; alle installazioni temporanee dei nidi di Nils Udo, degli intrecci di Patrick Dougerthy sino alle cattedrali vegetali e alle zattere migranti di Giuliano Mauri.
La parola passa ad Alessandro Rocca che approfondisce il tema partendo dal confine tra arte, scultura e architettura, un gioco di continua inclusione e dialogo. Oggi sta avvenendo una sorta di inversione di ruoli: l'architettura è sempre più auto referenziale e scultorea, mentre la scultura più interessante, le installazioni e la sperimentazione sono sempre più "site specific".
Ma quali sono gli elementi per costruire oggi un paesaggio naturale? Rocca cita le bombe di semi di Kathryn Miller che rinverdisce gli svincoli delle autostrade di Los Angeles. Un'esplosione di natura senza controllo che vince sull'antropizzazione.
Passa poi all'hortus conclusus, che viceversa costringe la natura in un controllo spaziale totale: è giardino senza paesaggio. La natura è annientata e il disegno architettonico prevale. Segue una carrellata di esempi:
Isamu Noguchi, designer e scultore ha creato uno dei giardini chiusi più belli, senza elementi viventi. Siamo nel centro di Manhattan. Un'isola ipogea. Uno spettacolo immoto rivitalizzato dall'acqua.
Diller & Scofidio al Lincoln Center di New York disegnano una collina sinuosa e fiera. Ken Smith progetta il giardino sul tetto del Moma di NY. Un paesaggio non accessibile e immoto. Minerale e plastico. Solo visivo. Per sottolineare il contrasto tra la razionalità controllata e libertà Rocca cita Marco Navarra a Piazza Armerina, con il suo percorso narrativo, che mette in evidenza le diverse situazioni che si incontrano. Sempre sul filo della spontaneità controllata non si può non citare al High line di NY. La vegetazione nata sulla ferrovia abbandonata viene reinterpretata e riportata in vita dal paesaggista Piet Oudolf.
Maurizio Corrado, Direttore della rivista Nemeton, parte da lontano. Dall'homo sapiens, che è sulla terra da 190.000 anni. Fisicamente oggi noi uomini siamo come i nostri antenati. La nostra evoluzione è strettamente connessa con la relazione con l'esterno. Il 98% degli esseri viventi sono piante. 12.000 anni fa un cambiamento climatico ci porta a cambiare modo di essere e ci trasforma da nomadi a stanziali con la rivoluzione agricola. Oggi la mobilità informatica ci fa ripensare lo spazio sedentario e fisso, riportandoci a situazioni più dinamiche. Occorre ribaltare i termini dell'ambiente costruito. Il verde è l'habitat e l'architettura è il servizio. Usare le piante, i giardini e le terrazze non è un discorso solo legato alla moda. E' necessario riavvicinarsi ai primordi. Segue una piacevole carrellata di esempi di verde verticale e di integrazione estrema tra manto vegetale ed elementi architettonici.
Alessio Battistella, dello studio Ar-cò, racconta i progetti realizzati dal suo studio con la terra cruda, un nuovo modo di pensare un paesaggio. Questo gruppo di professionisti si muove in ambiti di emergenza, lavorando in tempi rapidi con poche risorse, con forte attenzione alla sostenibilità ambientale e al risparmio idrico, incoraggiando spazi aggregativi e utilizzando materie povere e riciclate a chilometro zero.
Tre esempi. Tre scuole per beduini. Tre realizzazioni differenti.
La prima è in un villaggio beduino in Palestina. Qui i nomadi, costretti a divenire stanziali, hanno perso con la guerra le conoscenze primarie del costruire (orientamento corretto, materiali, riparo dal vento e dalla sabbia).
Per la loro scuola sono stati utilizzati i copertoni trovati in discarica e riempiti di terra: un'architettura sostenibile, fornita di un libretto d'istruzioni modello Ikea, per far si che i beduini possano continuare le costruzioni.
La seconda scuola è sempre in Israele. Qui i materiali sono il bambù, il fango e le canne. La vecchia struttura in lamiera è stata usata come cassaforme e riempita di terra cruda mista a paglia, ottenendo un ottimo isolamento termico e acustico.
La terza scuola è a nord della striscia di Gaza e ha una maggior relazione col paesaggio. In questo edificio sono state sperimentate tutte le tecniche più sostenibili: dalla raccolta idrica all'ipogeo e la fito depurazione. Anche in questo esempio il lavoro è stato condiviso con gli utenti cui, oltre alla costruzione, è rimasto il know how. I muri sono sacchi di sabbia pressati e connessi con filo spinato. Il tetto è costituito da un gioco di lamiere curvate, in modo tale da raccogliere le acque ed isolare al tempo stesso.
La serata si conclude con una breve chiusura di Raffaella Colombo, che sottolinea la diversità degli esempi appena visti, che interpretano il paesaggio con strumenti inaspettati, in questo confine così sfumato tra elemento vegetale e struttura antropizzata.