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Un architetto del tempo e dello spazio assoluto

From 03.11.2011 to 10.11.2011

Le parole di Alvaro Siza Vieira a dialogo col pubblico presso la nostra sede di via Solferino, a Milano in occasione dell’inaugurazione della sua mostra di disegni alla Galleria Jannone

Presentiamo qui le parole di Alvaro Siza Vieira, raccolte in occasione dell'incontro svoltosi giovedì 27 ottobre 2011 presso la nostra sede di via Solferino, in occasione dell’inaugurazione della mostra dedicata ai suoi disegni presso la Galleria Jannone, aperta fino al 30 novembre.
Poco dopo le ore 16 prendevano posto al tavolo accanto al Maestro portoghese Fulvio Irace, docente di storia dell'architettura del Politecnico di Milano, e Franco Raggi, ubicuo vicepresidente del nostro Ordine, che lo hanno sollecitato comevedremo con alcune domande legate ai suoi scritti ed al suo lavoro (N.d.R.)


F.Raggi: ringrazio Alvaro, venuto a raccontarci qualcosa.
L’occasione è la mostra alla Galleria Jannone di alcuni tuoi disegni architettura, di viaggio, di persone.
Hai scritto che Architettura è ricerca di autenticità, di bisogno e di espressione: cosa significa?

A.Siza: Per fare qualcosa di solido c’è bisogno di convinzione e non solo di idee proprie. 
Per attingere ad una certa qualità, per un edificio, deve esistere una grande convinzione. Per me il lavoro è fatto a partire dei dubbi. Uno ha un programma, e poi tanti dubbi.
Per non aver inibizioni molte volte inizio il progett  non con tutte le informazioni, ma giusto quelle sufficienti per permettermi di fare una ipotesi, subito, e dopo queste bozze prendono valore critico via via che si approfondiscono le informazioni. L’intento è non essere impressionato da troppe informazioni, di cui la sintesi è impossibile.
Se faccio un progetto per una città che non conosco, prima di fare la visita cerco prima delle informazioni, anche dalle guide turistiche, o parlo con amici che conoscono dove devo lavorare, e poi quando faccio il viaggio già porto con me un quaderno con alcune bozza, che poi probabilmente saranno completamente sbagliate, non fa male. È un problema mio, devo prendere qualcosa per cominciare. E dopo si sottomette alla critica e il processo incomincia.

F.Irace: il catalogo della Galleria Jannone per la mostra, vede accostato a ciascun disegno dei pensieri scritti. Il rapporto tra scrittura del pensiero  e calligrafia del disegno è un tema che spesso affiora nel tuo pensiero. Disegnare è come scrivere, e che il rapporto con letteratura e poesia è profondo.

Io non volevo essere architetto, ma scultore. Ma dopo non era conveniente, da parte della mia famiglia era considerato una cosa da boheme, una cosa strana, e per non entrare in conflitto con mio padre -mai avuto conflitti con lui- sono entrato a architettura che era insieme a pittura e scultura, pensando che dopo si sarebbe potuto  svisare, cambiare senza problemi.
Il fatto è che ero entrato nella scuola in un periodo interessante, con un nuovo direttore che aveva chiamato  giovani e bravi architetti, mi sono interessato e sono rimasto ad architettura. Ma ho continuato a fare pittura, la forma più confortante dell’olio, che è l'acquarello, e anche scultura.

La prima volta che una galleria mi ha invitato è stato 5 anni fa a Madrid per fare una mostra in un evento internazionale che si chiama 'Arco'.
All’inaugurazione incontro un giornalista portoghese deluso nel non vedere cose che non avevano, a suo dire, rapporto stretto con la mia professione.
Può dire che non le piace, ma non che non abbia rapporto con la mia professione.
Non è vero, ha rapporto:  pittura, architettura, scultura, cinema, musica sono in fondo la stessa famiglia. Esiste oggi per molta giente una ansietà rispetto a rendere tutto specializzato, che non si ammette che un architetto faccia una scultura. Va bene, non siamo nel Rinascimento, dove l’artista faceva tutto, ma sono comunque attività molto vicine, simili per certa misura.
ma ho dimenticato la domanda…

Irace: c’è una frase dei tuoi scritti, che io vedo come immagine di un film: "Il progetto sta all’architetto come il personaggio di un romanzo sta all’autore, cioè, lo supera costantemente. E' necessario non perderlo, il disegno lo incalza."
Io mi immagino Siza con la bic, come uno spadaccino che incalza il progetto che si nasconde: la matita è un pungolo per far venir fuori il progetto.

Questa cosa significa che lungo il processo di progetto, ci sono periodi di grandi entusiasmo e altri di grande depressione. Sono molto utili ma anche molto pericolosi. Perché i diversi strumenti che si utilizzano sono utili, ma provocano inganno.
Noi lavoriamo con gli schizzi, io, non tutti credo. Un modo rapido di fare proposte critiche, di registrare. Ma lavoro anche con modelli, e il disegno rigoroso. E per tutti questi strumenti significa tantissimo il lavoro di equipe.
E' pericoloso perché se la maquette può entusiasmare tutto bene, ha bisogno di altri approcci paralleli, per vedere gli sbagli che possono essere nella sua bellezza, nell’angolo di veduta, magari dover essere dentro.
Lo schizzo, succede molte volte, non mi fido degli schizzi , molte volte sembrano bellissimi, normalmente vengono di notte. Felicemente dopo c’è l’intervallo di dormire, e il giorno dopo chiedo a uno dello studio, o io stesso ne faccio un disegno rigoroso e scopro che le proporzioni fanno di questo schizzo una cosa terribile.
Bisogna lavorare in parallelo. Anche i modelli, noi ne facciamo sia del volume semplice, sia che ci si può entrare, visibile da dentro.
Un piano solo si apre per guardare, vedere il soffitto.
Tutti questi strumenti sono fondamentali, ma possono provocare sbagli, non si può credere ciecamente al singolo strumento.

Rispetto a cinema, letteratura, pittura, ci sono molte suggestioni in parallelo che vengono da poesia, musica: i percorsi e il ritmo, ad esempio, è tutto in rapporto con l’architettura, e il controllo deve essere serrato.

Bom, La ragione per cui uso la penna bic è che ha molte qualità: non è strumento nobile, ma è molto pratico, anche perché se si perde non c’è nessun  problema. Se invece perdi una Parker 51 ci rimani male, si fanno punizioni... Tutti rubiamo la bic ad altri. Qualche volta a casa trovo il nome di un collaboratore su una bic in tasca, che sapendo di questa cosa scrive il nome.  Funziona un po’ come per gli accendini, che sono... bic.
Ma un’altra cosa della bic è che io fatto una serie di disegni che mi ha chiesto Souto de Moura quando ha fatto la posada a Bouro (Recupero e trasformazione in posada del convento di Santa Maria do Bouro, Amares, 1989/97, ndr)  E doveva fare disegni per metterli nelle stanze. 40 o 50 abitazioni.
Senza pensare ho detto che si, bell’idea, e ho iniziato a fare con la bic. Ma alcuni poi hanno detto è indegno, non è bello per un monumento così fare con la bic. Allora hanno preso una Pelikan, bella, con una tinta di qualità e così li ho fatti. Passato il tempo, i proprietari dell’albergo quando era vuoto, chiudevano l'aria condizionata, e dopo 2 anni alcuni disegni cominciavano a scomparire. Alcuni hanno tentato di farne copia con lo scanner, altri sono praticamente spariti: ma quelli fatti a bic sono rimasti perfetti. Ho una grande ammirazione per la bic.

F.Raggi: si perde il cappuccio, però. Ci deve essere un cimitero dei cappucci delle bic, da qualche parte...
Cosa intendi quando scrivi “nell’intorno perfetto, la perfezione dell’architettura deve affinarsi fino alla apparente irrilevanza…”


Non ho capito… la parola irrilevanza mi incuriosisce… è molto complicato…

F.Raggi come se dicessi che deve essere inappariscente per avere qualità nel suo contensto…

Va visto più testo, deve esistere qualcosa prima che faccia capire, o era un giorno in cui ero di mente molto complicata…

Credo, quando vedo la parola irrilevanza, si riferisca a qualcosa che considero nella città molto importante: ciò che è pattern del tessuto della città, non deve essere emergente, cosa che deve essere invece dell’edificio pubblico. Di natura, per il suo uso, l'edificio pubblico in mezzo all’architettura deve seguire questo principio, anche se sarà forzato, anche senza volontà, verrà fuori del tessuto.
Ma se è una cellula, una parte del tessuto della città, è ridicolo trasformarlo in un pezzo fantastico che crea attenzione speciale.
A meno che si tratti di un primo speciale, nella vita e dell'evoluzione dell’architettura. Perché l’avanguardia europea quando faceva una semplice casa, dava una carica espressiva molto forte, dunque emergeva per forza dal tessuto anche se era dentro il tessuto. Ma quella era un’altra spiegazione.
L’autenticità, si sa, quando una tendenza molto significativa lotta per un linguaggio diverso, corrispondente a una nuova forma di vita, là il disegno prende una forza, che non è un invenzione individuale, un capriccio, ma qualcosa del corso nella storia, che farà parte dell’evoluzione del corso della storia.
È curioso come alcuni degli esempi più noti di casa moderna, non siano mai stati casa. Avevano un’autenticità di manifesto. Per esempio villa Savoye non è mai stata una casa di famiglia, ma venne fatta per un proprietario che voleva lo stesso che voleva l’architetto: un programma di vita nuova, l’uomo nuovo, una cosa fortissima, la vita moderna, anche se non è mai servita come casa.

F.Irace : Che significa essere originali in architettura? Hai detto che è un atteggiamento incolto e superficiale voler essere originali...

Io credo che l'originalità viene esattamente dalle ragioni che vengono a trovare la mente dell’architetto ma che sono più forti, vengono dall’esterno in un momento dell’attività, che danno questa autenticità e l’originalità.
Io lego molto originalità ad autenticità.
Le città sono oggi piene di cose originali, e c’è una tendenza a che molto di ciò che si fa cerca di essere originale, la firma dell’architetto. Anche per cose che non hanno una vita forte nella città.  Alla fine sono ripetizioni costanti.
In un periodo del passato, chiamato in modo poco rigoroso Architettura post modern, c’era una forte ansietà ad essere originali, ma con base di appoggio generale non molto forte. In questa lotta per l’originalità appaiono molte originalità che sono quasi sempre le stesse.  Se si vede quanto fatto in questi anni si vedono tante cose ripetute: così non si arriva all’originalità.
L’originalità deve avere dietro una ragione molto importante, anche se incosciente, esiste ed molto importante.

F.Irace: Stamattina sei stato in giro per Milano, hai visto queste cose originali?

Vicino alla Fiera ho visto dalla macchina alcuni grattacieli in costruzione.  Ma non posso dire... C’è anche una componente di diplomazia, per fare una critica o un analisi di quanto visto... ho visto un immagine.
Le torri che mi  sono piaciute –non sono torri, ma edifici grandi, di Gino Valle.
Non sono i casi più strani. Ho visto le maquette dei grandi architetti alla Fiera. Sono rimasto deluso dall’impegno di originalità, che viene da persone di grande qualità, da questi grandi architetti, che per me non hanno bisogno di cercare tanto originalità. E quando lo fanno succede quello che dicevo…

C’è una bellissima torre che ha fatto Gehry a New York, qualcosa di speciale, ma non è questa cosa capricciosa, la torsione,,… si deve dire anche che c’è una grande pressione del mercato in questa direzione, che può essere interpretato come cosa buona per la città, per darle un grande impulso di energia.

F.Irace: Se ci sono domande dal pubblico…
F.Raggi: leggo da qualche parte che non riesci a progettare una casa, o meglio a vivere una casa, perche tutto si rompe. Un rapporto difficile con tecnologie e meccanismi. Vale anche per la costruzione della tua architettura? Penso per esempio che La facciata strutturale in vetro dell’edificio  che si vede volgendo lo sguardo a sinistra (edificio pelli garibaldi ndr) non ti piace, ti piace di più fare un muro, la solidità semplice, l’assenza di meccanismi apparente. La mia domanda è sul rapporto con la tecnica.

Più che del rapporto con la tecnica, in questo scritto si dice il rapporto con le trasformazioni della vita, quello che era la famiglia, quello che è oggi, in termini generale. Questo scritto è anche un omaggio ad amici che mi hanno aiutato molto. Perchè ho avuto un incidente a Santiago di Compostela, sono venuto la faccia completamente rovinata. Ho preso un aereo per tornare a Porto. Ma non volevo andare alla casa di famiglia per evitare preoccupazioni, e sono andato a casa di questi  amici, una casa di un piano molto bella nel centro di porto, con piscina. Sono stato 3 o 4 giorni in convalescenza. E osservavo il movimento della casa.
La famiglia è molto più piccola di quando ero bambino. Il servizio: non c’è lo staff che esisteva prima in una famiglia di classe media, dove tutto era più semplice, non c’erano elettrodomestici ma persone che facevano ogni cosa. In casa c’erano 2 serviziali, e c’era meno varietà di attività e molto più gente. E poi le famiglie erano molto più grandi, e c’erano le zie non sposate, e tutto questo staff… a casa mia c'era anche uno zio, molto simpatico. Eravamo in 13 a tavola. E si continuano a fare case con grande disponibilità, ma i mezzi sono più difficili.

Io vivo in un appartamento molto semplice. E ho un rapporto con le macchine difficile. Io non uso telefoni cellulari, e se anche ne prendo uno, non funziona. E dopo, per esempio, le lampade speciali, tipo alogene, per montarle io non ho coraggio, io chiamo un ingegnere… tutto complicato, il gas, la televisione: era nero bianco, 3 canali, muoversi per cambiare, oggi molto più complicato. Io sono riuscito ad avere solo una manovra, prima non sai quanti pezzi, tutti uguali. Complicato e anche un po’ pregiudiziale.

Quando vado a casa da studio lungo il fiume vedo una quantità di persone che fanno esercizio. Uomini che muoiono a 40 anni facendo esercizio. Oppure prima c’èra un esercizio fantastico:  aprire e chiudere i finestrini della macchina …finito. E come questo tutto quello che facciamo oggi, e dopo c’è bisogno di correre…

F. Raggi: Hai detto che è difficile disegnare un mobile. Hai disegnato una lampada per Fontana arte molti anni fa, quasi un esercizio sado maso di riduzione calvinistica, un filo con in fondo una lampada alogena. Questo rapporto col design è così difficile perché ti sembra che non ci siano le stesse ragioni intime che guidano il processo del progetto di architettura?

Esatto, è quello. Mi chiedono di disegnare una sedia, per esempio: ma ci sono miliardi di sedie, nei secoli, ma anche contemporanee: allora perché farne altre? E dopo fanno la domanda di originalità, in fondo per avere un successo commerciale. Qualche volta ne faccio, ma non credo che premino per originalità. Quello che ho fatto praticamente è prendere i modelli tradizionali e ottimizzare l’aspetto del conforto: misure per il conforto, rispetto comodità o alcuni materiali nuovi. Non credo di aver fatto mobili innovativi o speciali. Perché non sento il bisogno e il gusto per farlo. Ho fatto recentemente pezzi sanitari per Roca, interessante e complicato. Si lavora con gente della fabbrica con esperienza, e si fa design. Io ho tentato di fare dei sanitari che sembrano sanitari. Molti non sembrano sanitari, e riconoscere il bidet è una cosa utile… non sento il bisogno di disegnare per il design

F.Irace, mentre parlavi vedevo questa strana contraddizione: tu sei uno di quei 2 o 3 Maestri che veramente si possono chiamare Maestri dell’Architettura del secolo scorso e anche di questo. Ed hai anche successo internazionale,  anche mediatico, riconosciuto, vedi il Pritzker price del 1992. Però è come se tu fossi un uomo di un altro secolo, fai l’elogio del fare le cose bene, della lentenzza, quasi dell’austerità, che oggi nel nostro frenetico consumismo viene costantemente disilluso, ogni giorno c’è un telefono un i pod nuovo, qualcosa di nuovo. Un successo il tuo come se ci fosse un senso di colpa nella società….

Ben, in quanto al grado di maestro è il primo sbaglio tuo, in questo

F. Irace: e vabè, certo, i discepoli sbagliano sempre, però …

Anche perché non sono 3, 4, 10 maestri o grandi architetti, ma sono molti.
Dipende dalle opportunità, da molte cose di essere più conosciuti, meno conosciuti. Qualche volta può succedere di essere conosciuto perché sono –dico esattamente quello che penso-  un po’ antico. E' normale perchè sono nato nel ’33, e da una parte molte cose sono venute troppo tardi per me.
Per esempio io non lavoro col computer, perché mi nerva. Ma quasi tutti nello studio hanno il computer: da molta potenzialità allo studio, ed è anche richiesto. Per me non funziona bene. Perché qualche volta sono seduto accanto a un collaboratore che disegna, e dico’ tentiamo questo’. Poi però viene una piccola setta, e dopo dobbiamo aspettare.. il collaboratore dice “è molto pesante”… e io comincio a perdere pazienza.
È uno strumento fantastico, l’uso dell’informatica è ancora una cosa molto piccola rispetto a quello che sarà.
Allora, c’è un bilancio –penso io- con le persone che guardano il mio lavoro che dicono, diciamo una metà, questo è un antico. E altri, o L’altra metà di ciascuno, dice: questo mette il dito proprio in quello che del’uso delle nuove tecnologie è sbagliato, dove non arriva.
Se fossi nato venti anni più tardi sarebbe stato diverso. Impressionante la possibilità di ponti tra generazioni. Mai sentito un collega dirmi ma vai a lavorare a quel computer.
Credo che chi lavora molto al computer ha bisogno anche di altri strumenti, anche per ragioni di salute fisica. Essere 7 ore davanti a un computer, questa luce… è duro...
Una cosa che ho osservato nel mio studio è che le persone parlano molto meno, prima lo studio aveva un certo disordine…

F.Irace: perché hanno le cuffie e magari sentono la musica...
Dal pubblico - Sul disegno: come ha imparato a disegnare, se qualcuno le ha insegnato, e come insegnerebbe l’uso della bic ad un neofita?

Ho imparato seduto sulle ginocchia di uno zio, che non disegnava niente. Dopo cena, rimaneva nella sala, e lui mi ha incominciato a insegnare a disegnare i cavalli. Si è impegnato molto nell’attività.
Quando avevo 8 anni, con i miei fratelli e altri amici abbiamo fatto un giornale, loro facevano la parte letteraria, io facevo i disegni. Così succedeva che tutti andavano a giocare, e io dovevo continuare, perché erano 10 esemplari,  ma non c’era la copiatrice…
E poi c’è stato un periodo in cui volevo essere scultore, visitavo i musei, quando si viaggiava, ero un disegnatore autodidatta, ero convinto di fare bene. Compravo l’argilla per fare scultura. Per entrare a scuola ho dovuto fare l'esame con il modello, i busti a carboncino. Ho avuto un professore allora che faceva disegni molto rigorosi, con linea, doppia linea con le ombre, e gomma pane, e mi sono impegnato molto con lui, 2 mesi, anche se poi sono entrato con una classificazione non buona.

Dopo, il primo professore era un Impressionista molto bravo, in quel tempo di isolamento di Porto, era rimasto Impressionista. I moderni erano a Lisbona, e si insultavano tra loro.
Lui con il carboncino faceva una lamina molto sottile. Quando veniva a lezione la prima cosa che faceva ti spezzava il carboncino. Entrai in confusione. E poi ho capito che il suo uso del carboncino era opposto all'altro: il primo era la linea anche di una forma fine, al modo dei modernisti: fare per superfici. E l’altro era impressionista, disegnava straordinariamente bene.

Poi ho avuto il disegno dal vero. La cosa più divertente erano le ragazze che entravano col modello nudo, e noi guardavamo la loro reazione… e poi è continuato, è importante il disegno nella scuola di Porto, e non solo: il modello, il disegno dal vero, o l’interpretazione della fotografia. Credo sia molto buono questo. In molte scuole il disegno non c’è più.

F. Raggi: metterei il disegno del quaderno di viaggio.

Dentro la scuola di Porto nel 1° e 2° anno si da preparazione in questo senso. A Porto gli studenti disegnano tutti molto. Ma c’è anche qui il pericolo che il disegno diventi un vizio. Come quando vedi presentare un progetto con molti schizzi, e a colpo d’occhio si vede che non dicono nulla, che non è una ricerca, ma che sono fatti per gli occhi.

Mi ricordo, in una pubblicazione della scuola, mi hanno chiesto di scrivere rispetto al disegno. Io ho scritto una frase che aveva 3 proposte: una di queste  ricordo che diceva: “il disegno è il disagio dell’intelligenza”. Poco tempo fa ho visto un libro, in cui si diceva: “ il disegno a schizzo impedisce l’intelligenza”. io credo che le due cose, così contraddittorie , sono giuste. Perché se lo schizzo diventa un godere estetico non è più ricerca vera. Sbaglia molto, può impedire il pensiero. Il disegno è bene quando promuove o è appoggio al pensiero. Ma può essere invece, e in molti casi succede, può impedire l’intelligenza.

Dal pubblico – lei è un Maestro che si collega con un epoca precedente agli ultimi anni. Se penso alla storia dell’architettura, quella moderna, molto ha fatto il tema dell’abitazione. Questo mi sembra ultimamente scomparso o passato di moda. Lei in un suo scritto diceva che costruire una casa è diventata un’avventura. Siccome io come lavoro mi occupo di case, ci racconta il valore che ha per lei pensare e costruire abitazioni e qual è il significato nell’ambito dell’architettura fare una casa?

Come un esercizio dove si può, che ammette l’esperienza. La casa è insostituibile, per la sua dimensione, una casa normale e per il rapporto che si crea con il cliente, che normalmente cerca un architetto che vuole, di cui ha visto quello che ha fatto. Pertanto il rapporto è più semplice, senza il carico burocratico di  edifici di grande dimensione, che coinvolge molta gente.
Pertanto come campo di esperienza è il più valido possibile, così come lo è stato nella storia dell’architettura moderna: Basta pensare, come abbiamo già detto di villa Savoye, o la casa di Rietveld Schröder, le case di Loos. Si può fare La storia dell’architettura moderna attraverso le case. Riduttivo ma è così. Campo di esperienza molto importante.

Un altra cosa che io penso è che l’architetto nella sua formazione e nella sua esperienza, ha bisogno di lavorare alle diverse scale presenti nella città, ed una di queste è la casa.
Uno che non ha mai fatto una casa non può fare assolutamente bene un grande edifico pubblico. E lo stesso l’inverso, uno che lavora solo su grandi edifici, difficile poi sappia fare la casa nella scala giusta. Sono cose complementari nella città. pertanto io sento il bisogno e continuo a fare sempre la casa. In studio in questo momento incluso facciamo 3 case, è successo così… per la vita, l’economia e le finanze dello studio è un disastro mantenere questo due tipi di attività. Perché con una casa si perde soldi, anche se si possono aumentare le tariffe, per gli onorari, anche se sono finite: La Comunità Europea ordina che non ci siano tariffe, e la concorrenza che c’è è impossibile.
Anche per i concorsi pubblici. Ci sono concorsi in Portogallo, in cui il criterio unico per classificazione è il costo del progetto: il progetto che cosa meno, il costruttore che costa meno… Ma la costruzione in realtà costa tantissimo per fare queste due cose insieme.

Un'altra cosa che mi interessa per la casa monofamiliare. Quando si fa il progetto per una famiglia, Il progetto è discusso con molta autenticità. Perché i diversi componenti,il vicino.. è un progetto partecipato. In Portogallo, durante 2 o 3 corti anni, ho avuto questa esperienza di abitazione collettiva partecipato, di progetto partecipato. Molto interessante. Oggi finito, per la mutazione politica, per questa fretta…
Lamento che sia così, perché per dare la risposta giusta alle domande, alle circostanze, alle condizioni, c’è bisogno di questo rapporto molto diretto, come si continua ad avere per una casa privata.
Permettere di esprimersi chi ha meno soldi per fare la casa. Un aspetto didattico, utile per fare gli interventi nella città. Anche se qualche volta ci sono conflitti: ma senza conflitti non si fa questo processo, sarebbe ipocrisia. Quello era un momento politicamente speciale.
Prima si pensava che la discussione fosse sul rapporto della cucina con la sala. Alla fine dopo alcuni mesi, quello che la gente discuteva era la città, l’importanza della città la dipendenza della decisione, molto importante e così anche pericolosa, pertanto finito…

Emilio Battisti: volevo ricordare ad Alvaro Siza, che tanti anni fa lui fece il viaggio delle università occupate, che organizzammo, lui era con Alves Costa e Nunos Porta, ricordo che da Milano partirono in macchina. In quel momento tutte le facoltà erano occupate, fase storica di grandi conflitti, e la dialettica faceva parte dei riferimenti che gli architetti assumevano per il loro lavoro.
A Porto mi accompagnò a vedere un intervento che stava facendo, per comunità povere, basato sul recupero di elementi già costruiti integrati attraverso in modo raffinato e nello stesso tempo economico, nei mezzi.
Hai detto che è finita quella fase storica, e che quindi non c’è possibilità di recuperare quei contenuti e valori. però io mi sto interrogando per certi versi, se questa situazione di crisi che sta sconvolgendo i rapporti sociali e i rapporti economici etc, non ci indichi in qualche modo che bisogna ritornare a farsi carico di queste tematiche, e credo che l’esperienza passata, anche se che non può essere riproposta in quanto tale, può essere un elemento che ci aiuta a capire che questa necessità vada affrontata.
Vorrei che in qualche modo ci dicesse qual è la sua valutazione.

A.Siza: Bon. L’opportunità di questo processo di lavoro io ho detto che è finito, ma pensando che non doveva essere finito, che c’è il bisogno permanente, anche perché non commettere errori nella città è insostituibile l’esperienza diretta. È finito perché le decisioni politiche hanno decretato questa fine.
Oggi già ci sono molto 20 % disoccupato in Spagna, 12% in Portogallo, c’è bisogno di volontà politica, più che mai necessaria.
Io sono molto pessimista rispetto questo, perché in Portogallo di nuovo si vive in dittatura, e la peggiore è la dittatura senza dittatore. Perché se c’è, si può abbattere. Così invece tutte le decisioni, sono della troica che ogni 2 mesi vede i conti e dice taglia qui, metti la. Di mediato non esiste, non credo vi sia possibilità di prendere politicamente spazio. ma la situazione va così male, voglio credere che la crisi prenderà il significato della parola greca che dice trasformazione/purificazione.

Allora io non ti vedevo da molti anni, ma noi con Costa e Porta parliamo di questa avventura, lui ci ha portato a prendere una bella macchina per noi. il giro fatto in macchina. Iniziato a Torino, molto formale, poi milano fino a Palermo. Bella esperienza.

Ultima domanda dal pubblico – penso si possa dire che le sue opere vivono essenzialmente delle qualità intrinseche dell’architettura. Volevo conoscere il suo pensiero viceversa su un approccio differente, che vede l’architettura metafora di significati altri, extra architettonici
F.Irace: Oddio… –dice: la tua architettura ha un valore in se, lui dice quale sarebbe la tua opinione  nei confronti di un architettura metafora dia altre cose, non so la società, l’arte etc.

Si, questa componente in certa misura, se il lavoro è lavoro preso così impegnato qualcosa si riflette, e qualche forma esiste nell’architettura che ha qualità.
Adesso non sai, ma visita i miei progetti e dopo mi dici se ci vedi qualche cosa.

 


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