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Le Opere degli altri

Dal 11.12.2010 al 11.01.2011

In questi giorni si è assistito ad una animosa polemica riguardo l’opportunità di manomettere l’opera di Oldenburg e van Bruggen. Semplice Buon gusto o Tutela dello spazio pubblico?

In questi giorni si è assistito ad una animosa polemica riguardo l’opportunità di manomettere l’opera di Claes Oldenburg o Coosje van Bruggen 'ago filo e nodo'.
Polemica alimentata in particolare da alcuni Amministratori nei confronti dell’arch. Gae Aulenti, rea di aver sensibilizzato il Sindaco riguardo un atto di violazione di un bene culturale, che in quanto tale avrebbe dovuto essere sottoposto a tutela da parte della stessa Pubblica Amministrazione.
In un modo nemmeno tanto sottile, si è voluto spostare l’attenzione su una poco interessante questione di buon gusto personale, quando in realtà in gioco vi è la  vaghezza di idee sulla città e la sua identità, che porta gli stessi Amministratori a confondere il rispetto dei suoi valori, la dove l’interesse dello sponsor supera quello della cultura.
“Non si può alterare un'opera d'arte” ha scritto al Corriere Rosellina Archinto “che piaccia o no. In questo contesto allora si potrebbero mettere degli anelli al dito di Cattelan, oppure degli scialletti alla Pietà Rondanini, oppure trasformare in albero di Natale la scultura di Pomodoro e via di questo passo”.

Negli scorsi giorni abbiamo posto alcune domande a Marco Della Torre, anche lui colpito dalla superficialità con cui si è affrontato il tema.

Marco Della Torre dalla fine degli anni ’90 collabora a livello internazionale con numerosi artisti nella realizzazione di opere ‘urbane’.
Li supporta come Architetto, sensibile ai materiali e alla loro tecnica d’uso.
10 anni fa ha contribuito alla realizzazione di “Ago Filo e Nodo” di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen a Milano.
In questi anni, l’opera non è stata oggetto di alcun atto vandalico, ma oggi sembra averci pensato il Comune, attraverso un intervento di illuminazione che, probabilmente pensando ad un “gioioso” albero di natale, lo ha trasformato nel monumento al filo spinato.


Abbiamo domandato a Marco Della Torre un suo parere a riguardo:


Questo atto si aggiunge ad una serie di iniziative veramente infelici promosse dal Comune di Milano.
E' pur vero che ho contribuito ormai 10 anni fa ad erigere l'Opera di Claes e Coosje, ma questo non conta.
Sono offeso come persona, come cittadino.
La nostra città non è famosa per i suoi monumenti, ma l'Opera di Claes e Coosje è diventato presto un simbolo.
Ci proveranno anche con L'Ultima Cena di Leonardo? E' lì a due passi...
Vorrei che i responsabili di questo scempio si facessero avanti e ci spiegassero le loro motivazioni, in un dibattito pubblico.
Poiché Ago Filo e Nodo è un'Opera pubblica e appartiene a tutti i cittadini.

Un'occasione per porre con più forza la questione degli spazi pubblici, dell’arredo urbano che non è distribuzione di oggetti per lo più scoordinati tra loro e rapsodicamente disposti per le strade: che ne pensi della situazione di Milano?

Mi sembra che non vi sia un pensiero e neppure un disegno dietro agli interventi puntuali che si manifestano di volta in volta nei pochi spazi pubblici della nostra città.
Mi riferisco anche ai materiali, ai colori e alle tecniche di volta in volta utilizzati negli interventi che non fanno riferimento ad un piano che voglia connotare la città di elementi che possano restituire col tempo un'identità urbana. E questo è un punto importantissimo, pensando anche ai prossimi 5 anni. 
A parte gli apparati  di controllo urbano, i sistemi di  telecamere e di rilevamento sempre più presenti -e inquietanti direi-, appare paradossale che la “capitale del design” non riesca a dotarsi di sistemi riconoscibili di governo degli spazi pubblici urbani -parlo del governo dal punto visivo e percettivo dell'immagine della città-.
Mi sembra che i pochi interventi di questi anni siano per lo più progettualmente inconsistenti o peggio autoreferenti, espressione di singoli che utilizzano lo spazio di tutti per proprie sperimentazioni formali o gestuali. La gestione dello spazio pubblico deve invece, per definizione, esprimere il pensiero del nostro tempo e la complessità del nostro vivere.
Per questo non può più essere pensato e disegnato solo dal singolo, ma da più persone provenienti dalle più diverse discipline -ingegneria delle infrastrutture, botanica, architettura, arte, tecnologie delle interazioni, comunicazione, grafica, suono e quanto altro necessario nella specificità del luogo.
Ogni attore coinvolto deve essere un ottimo team player, con  capacità di ascolto e coordinamento.
Gli esempi migliori sono, se vuoi, nel cinema; per produrre un buon film, ci vuole un regista, un direttore della fotografia, uno sceneggiatore, un costumista, chi si occupa del sound track, delle luci... tutti collaborano al meglio e in egual misura per arrivare assieme al risultato che è appunto l'Opera.
Così anche in musica. Addirittura nelle jam session non c’è neppure un direttore.

Qualche esempio virtuoso?

Ci sono tanti esempi: in Europa, da Barcellona a Graz a Rotterdam da Lione a Darmstadt, e via dicendo.
Ma ogni città è diversa, ogni luogo vuole risposte diverse, e per questo non amo fare paragoni o esempi.
Bisogna partire dall'ascolto del luogo, dalla nostra città.
A Milano le potenzialità ci sono e sono ma inespresse.
Anche le persone ci sono, ma lavorano quasi sempre altrove.

In Italia ci sono alcuni esempi, come la città di Torino, dove le Amministrazioni hanno lavorato in modo coordinato e con consapevolezza, forti anche delle occasioni generate da importanti eventi internazionali.
E questo lo hanno fatto in molte direzioni, dagli accessori elementari fino al sistema dei musei e dei parchi.
Basterebbe che i milanesi provassero ad amare di più la propria città, e soprattutto ad esprimere questo amore.
Per farlo, bisogna come ridefinire il ruolo di cittadino e il ruolo di chi governa.
Milano appare luogo del miraggio speculativo: ma siamo sicuri che il suo destino possa essere solo questo?
Penso ai nostri figli e ai giovani in generale. Vorrei che potessero essere orgogliosi di vivere in questa città.
Vorrei che Milano potesse offrire luoghi per poter passeggiare, fermarsi, pensare e innamorarsi senza essere appiattiti dalla vendita al dettaglio: oggi le aree pedonali sono ormai solo strade commerciali.
E proprio perchè Milano non ha spazi da città Capitale -non ha un fiume, non ha il monte, lago o mare- bisogna impegnarsi ancora di più.

A Milano, tra Alberi di natale e gazebo fieristici, torri di luce e auguri multietnici che volano nei cieli della città, in attesa di atterrare in luoghi più ospitali, le polemiche pre elettorali fervono e i cittadini subiscono un surplus di rumore di fondo anche visivo, di inquinamento del paesaggio. Una violenza  che per prima afferra proprio la principale piazza della città, che invece sarà oggetto di grande attenzione per l’inaugurazione dopo anni di lavori del museo del ‘900 di Rota e Fornasari.
Non ti sembra che ci sia qualcosa che non torna?


Ribadisco, manca un pensiero possibile, una visione generale e condivisa e la passione espressa per il bene comune.

Altrove cosa succede?

Altrove forse chi governa lo fa in modo più professionale e disinteressato, lavorando al presente pensando al futuro, solo così è possibile esprimere valore aggiunto e duraturo.

La tua esperienza al servizio di artisti contemporanei cosa può raccontare della sensibilità al paesaggio urbano con cui ogni artefatto dialoga?

Gli artisti di oggi non si formano solo nelle Accademie.
Nelle fila degli artisti contemporanei anche di fama ci sono oggi biologi, medici, filosofi, storici, ingegneri ecc...
Gli artisti raccontano con il loro lavoro la propria visione del mondo. Sono liberi pensatori e sono esercitati alla pratica dell'ascolto, che sia di una parola o di un luogo. Da questo loro esercizio scaturisce il pensiero e la visione. L'artefatto può dialogare col luogo a diversi livelli, non solo quello fisico.

Mi hai detto che stai lavorando a Roma, cosa stai facendo?

Il 3 Dicembre inaugura la mostra della IV edizione del premio curato da Francesco Bonami ‘Enel Contemporanea’, nella nuova sede del MACRO progettata da Odile Decq.
Dall'inizio di quest'anno ho lavorato assieme ad H+ a Milano e con gli artisti Bik Van der Pol a Rotterdam, per realizzare un padiglione in cui sia racchiuso un microclima adatto alla vita di essenze e farfalle tropicali.
Il padiglione si ispira liberamente alla Fansworth House realizzata nel 1950 da Mies van der Rohe, che abbiamo reinterpretato e ricostruito ridotta al 75% delle dimensioni originali. È dotata di tetto trasparente inflate e garantisce all'interno temperatura e tasso di umidità costante e a bassi consumi.
86 mq di piante e centinaia di farfalle e falene che ogni settimana provengono sotto forma di crisalidi da Malesia e America Latina, che crescono e nascono in un incubatore progettato proprio per la mostra.
Tutto il padiglione è free standing, ed è stato concepito e progettato come una grande scatola di montaggio, per poter essere itinerante. Fino al 16 Gennaio 2011 a Roma, poi si vedrà.


Abbiamo quindi chiesto un opinione a diversi altri architetti impegnati sul campo, quali Stefano Casciani, Patricia Viel, Italo Rota, Clinio Castelli e Manolo De Giorgi, sul tema più ampio della qualità degli spazi pubblici di Milano, del progetto (o la mancanza di..) riguardo l’identità che l’amministrazione promuove per Milano.
Dato l’evolversi degli eventi delle ultime ore, ed il fatto che sia stata infine rimossa detta manomissione, ci apparso determinante chiedere un intervento anche all'arch. Gae Aulenti.

Francesco de Agostini

 

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