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Grattacielo Pirelli

Anno: 1952 - 1961

Località: Milano, Centrale

Indirizzo: P.za Duca D'Aosta 3

Destinazione d'uso: Edifici per uffici

Progettista: Gio Ponti, A. Fornaroli, A. Rosselli, con Valtolina, Dell'Orto

Sorgono a Milano, nella seconda metà degli anni cinquanta, edifici con funzione della grande industria, che all’altezza sembrano affidare la rappresentazione della propria potenza economica. Si tratta in verità di pochi ed emblematici casi, tutti inseriti all’interno del mai decollato Centro direzionale.

Il Grattacielo Pirelli può essere considerato come la “summa” della ricerca funzionale e tecnica iniziata nel 1936 con la sede della Montecatini, riguardo gli edifici a uso ufficio. E’ inoltre poetica della forma finita, dell’invenzione strutturale, dell’essenzialità e dell’illusività. L’edificio assume, attraverso effetti prospettici, immagini di sottigliezza rafforzati dall’altezza e dalle rastremazioni delle due testate, inoltre l’ampio fronte su via Vitruvio si trasforma in una sottile lama, che si coglie già dalla Stazione o da piazza della Repubblica.

Il grattacielo si eleva al centro di un vasto basamento che organizza il piano terra con gli ingressi, per 127 metri da terra, sostenuto da quattro grandi pilastri parete e da quattro semipunte triangolari alle estremità in cemento armato. La soluzione strutturale si evidenzia nei prospetti dove è leggibile il profilo progressivamente rastremato verso l’alto dei plinti in corrispondenza della piegatura delle facciate. La soluzione del problema del curtain-wall ha portato modifiche al progetto iniziale, “la separazione dall’esterno è una totale vetrata agganciata alla struttura, con l’inserimento di fasce orizzontali opache in corrispondenza dei parapetti delle finestre e ciò ha in parte compromesso il tema della leggerezza e della trasparenza evocata da Ponti. Nonostante queste modifiche quest’opera grazie alla semplicità strutturale e alla chiarezza compositiva rappresenta una delle più originali realizzazioni architettoniche italiane del dopoguerra.

 

Claudio Camponogara