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Year: 1785 - 1787
Town: Milano, Duomo
Address: Porta Venezia, Porta Ticinese, Porta Garibaldi, Porta Magenta, Porta Vittoria
Intended use: Monumenti commemorativi
Nel 1776, anno in cui Pietro Verri inizia a scrivere la storia di Milano e i milanesi vedono finalmente inaugurarsi l’Accademia di Brera, il problema dell’aumento della popolazione e la conseguente necessità di nuovi luoghi per la sepoltura all’interno della città preoccupano la popolazione e chi la governa. Di fronte a questa contingenza, con un editto imperiale, il governatore, l’arciduca Ferdinando d’Austria e il ministro Carlo Giuseppe di Firmian provano a ristabilire ordine nella regolamentazione delle sepolture comandando “ai cancellieri di far ripristinare l’uso di seppellire i morti fuori delle chiese e lontano dal’abitato, di far costruire, dove non sono ancora eseguiti, i cimiteri nei siti, forme e modi indicati dall’art. 8 della circolare del 31 dicembre del 1774, di fare chiudere i sepolcri privati delle famiglie esistenti nelle chiese e negli oratori e quelli esistenti nelle chiese esterne delle monache”. Questo editto che, in qualche modo, sembra essere il timido preannuncio, dell’editto napoleonico di Saint-Cloud, proibiva definitivamente la pratica delle inumazioni nel cuore della città consolidata, all’interno di chiese o istituti religiosi affidando alla municipalità il compito di costruire luoghi appositamente progettati per ospitare i morti, senza nessuna distinzione di censo, al di fuori dei centri abitati. Rispondono a queste norme alcuni progetti presentati nel 1779 dagli architetti Giuseppe Piermarini e Giovanni Antonio Bettoli per la realizzazione di nuovi cimiteri e nel 1785 vengono stabiliti i terreni adatti per accogliere queste nuove strutture ma è necessario tuttavia attendere il 1787 perché Milano si possa dotare concretamente di nuovi camposanti permettendo lo svuotamento e la successiva chiusura dei sepolcri presenti all’interno delle chiese o nei portici in prossimità di queste.
Cinque piccoli cimiteri vengono collocati al di fuori delle mura spagnole in prossimità delle porte di ingresso alla città, in un paesaggio ancora rurale, annessi e collegati a chiese esistenti già utilizzate durante la peste per accogliere i malati. Sono cimiteri definiti unicamente da un recinto chiuso, privo di qualsiasi volontà rappresentativa, cinque recinti differenti l’uno dall’altro per geometria e dimensione ma accomunati da un carattere poverissimo legato unicamente alla loro necessità e semplicità costruttiva. La definizione di questi luoghi è affidata a pochi semplici segni, ripetuti: un ingresso segnato da due edifici o semplicemente da un cancello in legno, il muro di cinta in mattoni a due o tre teste, un luogo centrale libero per le inumazioni, solamente una croce, in legno o in ferro a stabilire il punto per la celebrazione prima della sepoltura. Con la costruzione del cimitero Monumentale e del cimitero di Musocco pochi anni dopo, tutti questi cimiteri minori, ormai schiacciati dall’espansione urbana e considerati comunque insufficienti a contenere le inumazioni successive vengono definitivamente soppressi tra il 1890 e il 1896 garantendo il trasferimento delle salme nei due nuovi grandi cimiteri cittadini. Milano torna così a considerare il tema del cimitero, non più nel suo semplice valore di necessità e d’uso ma nel suo senso profondo rivolto ad una forte volontà rappresentativa.
Carlo Tedeschi
Giacomo Agnelli, Milano 1899