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Tomba Giampiccoli, edicola Borletti

Year:  1930 - 1931

Town: Milano, Sarpi

Address: Cimitero Monumentale

Intended use: Monumenti commemorativi

Designer: Franco Albini, Gio Ponti

Nel 1931 un piccolo monumento funerario è collocato in corrispondenza della ventinovesima arcata della galleria destra del Cimitero Monumentale di Milano, accanto al Famedio. Nonostante l’apparente marginalità è pubblicato dalla rivista «Domus», diretta da Gio Ponti, che nello stesso anno conclude la realizzazione della ben più prestigiosa edicola Borletti, commissionata tre anni prima dalla nota famiglia di industriali. Rivestita con le stesse pietre che compongono i semplici volumi della stele Giampiccoli, l’edicola figurava tra i progetti dello studio Ponti-Lancia ai quali Albini aveva collaborato durante l’apprendistato, seguito alla laurea. Albini, citato in un appunto di Ponti conservato allo CSAC di Parma, attese con tutta probabilità a una versione intermedia del progetto, che prevedeva un volume composto da due blocchi sovrapposti, coronati da un gruppo scultoreo, cui seguirà la decisa semplificazione volumetrica della versione realizzata. Una grande croce coronava l’edicola, affiancata da due angeli ispirati all’iconografia tradizionale del monumento funerario cattolico, ma declinati secondo un linguaggio analogo a quello delle figure che campeggiano in numerose composizione decorative di Ponti, e che influenzano le prime opere di Albini. Illustrato da una sintetica assonometria e da una serie di disegni chiaroscurati, il piccolo edificio della versione intermedia, così come quello realizzato, era rivestito da un bugnato liscio in marmo chiaro di Valle Strona mentre i due blocchi erano profilati ciascuno da una cornice classicheggiante in diorite d’Anzola.

 

Nella stele, Albini inverte la sequenza dei materiali e li impiega senza alcuna modanatura associandoli a funzioni distinte. Al di sopra di un basamento, tre rocchi semicilindrici e concavi in diorite d’Anzola si alternano a tre fasce in marmo chiaro di Valle Strona, che ad ogni livello fungono da ripiano e delimitano altrettante nicchie. Ogni nicchia è occupata da un semplice crocifisso e da un vaso portafiori in bronzo privi, come ogni superficie del piccolo monumento, di qualunque inserto decorativo. Ogni raffinata decorazione, di cui Albini fu interprete presso lo studio Ponti e Lancia, scompare in favore di una semplificazione geometrica e di una ferrea logica costruttiva, che distingue ogni pezzo attribuendogli un materiale e una forma in stretta relazione con la funzione che assolve.

 

L’attenzione all’incastro e al sistema di montaggio che caratterizzerà gli arredi, così come le architetture più riuscite di Albini, appare qui associata alla ricerca di una forma perfettamente coincidente con la struttura e con il taglio dei materiali lapidei, mentre l’assenza di riferimenti o citazioni palesi di modelli antichi,  non impedisce all’architetto l’emulazione dell’archetipo del monumento funerario, secondo un processo analogo a quello impiegato, a distanza di oltre venti anni, negli ambienti ipogei del tesoro di S. Lorenzo a Genova (1952-1956).

 

Stefano Poli