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Condominio in via Sant'Antonio Zaccaria

Anno: 1951 - 1951

Località: Milano, Guastalla

Indirizzo: via Sant'Antonio Maria Zaccaria 3

Destinazione d'uso: Edifici residenziali

Progettista: Gigi Ghò

“In quest’opera mi sentii portato ad affiancare agli automatici concetti organico-funzionali alcuni elementi che oggi sono diventati sostanziali e d’attualità, dati da temi plastici e, soprattutto di colore” (Gigi Gho’, Considerazioni da un intimo dialogo in “Edilizia moderna”, n. 51 Dicembre 1953). E’ lo stesso Gigi Gho’, ingegnere e progettista di questo edificio, che così ne spiega le ragioni e ne illustra la poetica. Gio Ponti d’altra parte, presentando l’edificio su “Domus”, confermava: “il carattere e lo stile di questo atrio d’ingresso dell’architetto Gigi Gho’, per una casa a Milano, è dato dalla sua composizione plastica e dal colore. L’atrio di questo edificio non è perciò fine a se stesso, ma esprime una continuità di composizione dell’interno con l’esterno, e dell’esterno con l’interno” (Gio Ponti, Il marmo è colore, in “Domus”, n. 285, Agosto 1953). E’ ancora il colore l’elemento che domina attraverso il marmo: in bianco statuario sono le pareti ed il pavimento a piano terra, in rosso Collemandina la scala elicoidale ed il pavimento al piano rialzato; i due materiali sono affini per quanto riguarda le venature e si differenziano invece in maniera forte per il colore di fondo. Questo assortimento accentua il valore cromatico dell’ambiente. Significativo in questa direzione è l’apporto, al quale lo stesso Gho’ fa riferimento, di Lucio Fontana e Fausto Melotti, che intervengono a più livelli, sempre nell’atrio, un punto centrale nella logica dell’edificio dove domina la grande scala elicoidale sospesa che conduce all’ammezzato (in cui sono situati gli ascensori e la guardiola del custode), attraverso l’innovativa opera di tubi al neon e le formelle in ceramica gialla, che rivestono la struttura del mezzanino. L’intervento di Fontana non va considerato un’opera di illuminazione, ma una presenza artistica fine a se stessa: polo d’attrazione dell’intero atrio, un oggetto d’arte nuovo, in quanto oggetto della nuova arte, che deve per essere tale deve rivolgersi ai materiali che consentono di realizzare ciò che prima non era possibile fare: quella sorta di “astrazione dalla fisicità dello spazio, che Fontana sempre cercava intuiva e tentava di mettere in pratica”. L’opera è costituita da tre elementi rettilinei al neon che si intersecano a diverse altezze, “tre segmenti di una improbabile figura geometrica che dividono lo spazio del soffitto”. Un forma aperta che, come vuole lo stesso Fontana, trasformandosi a ogni minima variazione di visuale, “chiama lo spettatore non a fruire di un punto di un oggetto dato, ma a crearselo da sé, attraverso la sua fantasia e le emozioni che riceve”. Originariamente i tre segmenti luminosi erano di colore bianco, rosa e azzurro.

 

L’importanza dell’atrio è sottolineata ancora dalla collocazione di spazi destinati alla sistemazione di piante fiorite, che dovevano servire non solo ad aumentarne la vivacità, ma a esprimere una reale continuità d’ambientazione e di visuale tra interno ed esterno, costituendo un “momento di fusione” tra i due spazi.
Anche nello studio delle piante sono evidenziate le vedute dell’esterno verso l’interno in modo particolare nel piano terra dove la grande vetrata consente una visione che è simultaneamente del dentro e del fuori. Lo studio della più razionale distribuzione interna prevede lo studio delle aerazioni, dello sbalzo dei terrazzi, del rapporto con il sole e la ricerca delle più ampie visuali.

 

Il fronte su strada è caratterizzato dallo sbalzo dei balconi che, oltre ad aver la funzione di schermo per il sole, concorrono alla creazione di uno spazio sospeso, che si contrappone al pieno delle pareti portanti, sostenute da pilastri di granito verde. Questo artificio è sottolineato dalla collocazione nel piano rialzato di una parete illusoriamente sospesa sull’inferriata del seminterrato; questa volta la sensazione è ottenuta con la differenza del materiale di rivestimento. Le tesserine quadrate, che dovrebbero costruire soltanto una sorta di foglio quadrettato a colori, in realtà vengono stravolte in quanto sono impiegate in maniera da dare una immagine ondulatoria e da suggerire una vibrazione cromatica sui toni del giallo e dell’azzurro. Ciò si inquadra, come osserva Perogalli, nell’ “anelito di reintegrare la decorazione nell’architettura”.

 

Claudio Camponogara
Elisabetta Dulbecco