Dal 19.02.2009 al 19.03.2009
Le occasioni del passato per immaginare il futuro. Strategia come condivisione della struttura, in vista di Expo Milano 2015
EXPO Lisbona: ovvero strategia come condivisione di struttura
Con la serata di giovedi 19 febbraio 2009, intitolata all’EXPO di Lisbona, si è aperta la serie di incontri dedicati all’EXPO 2015, o per meglio dire alle occasioni del passato per immaginare il futuro.
Ovvero il post EXPO 2016 di Milano.
Per questo la nostra presidente Daniela Volpi ha passato in rapida rassegna le questioni senza risposta che oramai da un anno ci si pone a riguardo della discussa candidatura di Milano all’EXPO Universale del 2015.
Pur non volendo dare risposte, l’Ordine propone di interrogarsi sul futuro del territorio Milanese a seguito di tale evento, e per questo propone l’indagine su doppio filo di 4 esempi in rassegna: le Esposizioni di Lisbona 1998, Hannover 2000, Siviglia 1992, Suisse 2002 attraverso conversazioni con alcuni degli addetti ai lavori che si sono dedicati a tali eventi, accompagnati da una campagna fotografica realizzata per l’occasione a rappresentazione del sito così come oggi appare.
È appunto con le foto di Marco Introini che si inizia a entrare nel vivo.
Ci racconta come, se programmaticamente si era posto il limite di 20 immagini, la qualità del luogo lo ha spinto a presentare un flusso per visioni successive in avvicinamento al grande foro centrale, tra padiglioni, servizi, uffici ma anche tanta residenza.
Una sorta di cittadella dunque, il cui itinerario si conclude con il territorio naturale lungo il fiume verso nord.
Salvatore Carrubba, già ex Assessore alla Cultura di Milano, qui in veste di giornalista del Sole 24 ore (sua vera ed antica vocazione, del resto), introduce la conversazione della serata ricordando quale divario vi sia tra le odierne lotte di Governance intestine ai vari enti coinvolti, apparentemente mute poiché senza alcun segnale evidente per la città, e l’Esposizione Universale Milanese del 1906. In tale occasione la città si dimostrò efficiente sia nell’ottenere che gestire e ricostruire, essendo bruciata in corso di realizzazione, i 6 milioni di visitatori di allora.
Si tratta, a suo dire, di un successo da ripetere, di un'occasione per proiettare Milano nel novero delle capitali europee.
In quest’ottica quindi guardare agli esempi del passato per non compiere errori nel futuro.
È la volta quindi di Manuel Salgado, che in veste di Architetto (ha collaborato con Vittorio Gregotti a numerose opere portoghesi, primo fra tutti il centro culturale di Belem N.d.r.) ma soprattutto di Assessore all’Urbanistica di Lisbona, illustra l’avventura di questa sua esperienza.
E parte da lontano, dalla rivoluzione del ’74, all’ingresso CEE ’90 e alla sua prima presidenza portoghese del ’92, in occasione della quale la città appariva estremamente degradata e decadente.
Per questo in quegli anni si decise di sviluppare un Piano Strategico, nel quale si identifica l’EXPO come strumento appunto strategico per corroborare la riqualificazione della città.
3 elementi forti hanno orientato questa idea:
- La scelta del luogo è ricaduta su una zona orientale della città, povera e industriale, estremamente estesa, per complessivi 350 ettari: 5 km di lungofiume composti da industrie e depositi, depuratori e discariche.
- La costituzione dell’ente pubblico di gestione, composto da 5 elementi, 3 di governo e 2 di opposizione, cui spetta la definizione del piano, la gestione finanziaria e la promozione, si è dimostrata estremamente solida ed efficace
- Il sistema delle infrastrutture in cui, guardando all’esperienza delle Olimpiadi di Barcellona, la nuova stazione, aeroporto, metro, autostrade, fossero centrali alla realizzazione dell’expo.
Oggi il piano complessivo è al 70% della sua potenzialità, con 3,5 milioni di mc di volumetria costruita, per 25.000 abitanti e 22.000 lavoratori. Il valore fondiario dell’area è diventato pari all’area più centrale della città. Si considera il 2010 come soglia per la conclusione dell’operazione.
il bilancio dell’operazione lo porta a fare 3 considerazioni forti:
- Positivo aver lavorato avendo sempre in mente il post expo.
- Negativo il fatto che sia una occasione irripetibile, ovvero non si avrà occasione di pianificazione così efficace, e soprattutto sopramunicipale.
- Negativo infine il grosso squilibrio di investimento pubblico della città, dove la metro costruita per expo oggi è sottoutilizzata a fronte dell’investimento compiuto.
ma il processo è funzionale: ora si sta lavorando per l’alta velocità, l’ammodernamento del porto e il potenziamento dell’aeroporto, con un volano forte per le aree attigue dove è già previste estensioni verso il centro cittadino.
Federico Acuto si interroga quindi a partire da una possibile chiave sintetica, e per trovarla fa riferimento al mitico ‘Parigi Capitale del XIX secolo’ (poi in “I passages di Parigi”) di Walter Benjamin, dove oltre a bollare tali luoghi consacrati al feticcio-merce, la dove altri avevano parlato di alienazione merce, sviluppa la sua comunicazione su 3 termini significativi: Luogo, Figura e Scala progettuale.
Il luogo è uno degli aspetti imprescindibili: il fatto che a Lisbona la localizzazione sia scaturita dall'elaborazione di un Piano Strategico la pone avanti di 20 anni rispetto alla cultura del piano in Europa, ad indice della consapevolezza del buon operare sulla città.
Non si affronti il tema come un evento (la fiera di Rho/Pero non si sa bene come si entra e come si esce, tanto per fare un esempio) ma come un processo, ovvero fare città.
Ma anche luogo come identità: citando de Finetti, la dove critica chi rappresenta la piazza del Duomo sottoforma di decorazione e non in relazione alla trama della città.
In questo senso, guardando a Lisbona, Acuto sottolinea le coerenze con la forma urbana, le avenidas e le fontane, la cultura dello spazio pubblico.
La figura, ovvero il gioco tra epicentri e rete, il sistema dunque, messo a confronto con alcune immagini dei progetti proposti per Expo e di Bovisa, forma di riduzione a decontestualizzati esercizi grafici propri del mondo, da lui definito in modo efficacemenete figurato 'della saponetta'.
Ancora una volta, Lisbona insegna a ragionare a scala regionale –come già il piano Chiodi del 1925 suggeriva.
Appunto il tema della scala, inadeguata se si pensa di ridurre l’EXPO con l’area identificata dall’Amministrazione.
L'intervento di Gregotti riprende un suo recente elzeviro sul Corriere, in cui già suggeriva che Milano abdicasse alla candidatura EXPO, in ossequio alla crisi economica in cui versa, ma forse più sottilmente riferendosi alla misura dell’incertezza, ovvero all’ovvietà delle proposte compiute fin qui dall’Amministrazione.
In una città dove la programmazione è una parola da respingere, in cui il futuro non sembra essere chiaro a nessuno, e che la strategia della scelta dell’area non sembra guidata da una strategia quanto da mero opportunismo, non sembra potersi vedere una prospettiva civile.
Aprendo il giro alle domande, è intervenuto il prof. Emilio Battisti che propone di cogliere l’occasione per rendere gli edifici cardinali della città adeguati ai principi dell’ecosostenibilità, ovvero offrire un percorso cittadino tra fiera, musei ed università che permettano la valutazione del tema: no spreco di energia, cibo biologico e alberghi Zero Energy Building.
Amen.
Salgado invece tenta di rispondere alla rinuncia di Gregotti, facendo l’esempio degli europei del 2004, svolti in Portogallo. Solo attraverso delle scadenze obbligate si riesce a fare in tempi significativi, in quel caso quattro stadi in tre anni. Esiste dunque un effetto evento che bisogna saper cogliere produttivamente.
Ma soprattutto per governare l'evento ci vuole una strategia per la città. Se l’Expo è stata una operazione di marketing territoriale, è necessario che vi sia un livello politico responsabile più che una discussione pubblica, dove non si hanno mai risposte sensibili.
Manolo De Giorgi dal pubblico interviene sottolineando come EXPO di fatto sia motore di trasformazione dei luoghi, ma se vengono scelti non-luoghi come nel caso di Milano, essa è versata al fallimento: è anacronistico considerarla una fiera, anche se questa sembra la strada intrapresa a Milano.
Acuto vuole sottolineare quanto detto da Salgado, ovvero Infrastrutture e strategia, chè però significa scelte politiche consapevoli.
Se la fiera di Rho/Pero è stata progettata in assenza di uno strumento di inquadramento strategico, se il PGT in gestazione non sta dando risposte politiche, l’evento allora dovrebbe essere pretesto per compiere finalmente dette scelte politiche.
Ma, ci ricorda il professore, Strategia implica un contenuto di condivisione che deve avere una struttura. Che non sembra purtroppo esserci.
A conclusione dell’incontro Carrubba si rincuora del fatto che la sindrome assessorile nei riguardi dell’evento, vincolo per darsi strategia, non pare dunque essere fenomeno solo italiano.
Certo è che se si intende amministrare la città come un condominio, come affermato da più prime poltrone milanesi, difficilmente tali stimoli si sapranno tramutare in strategie.
Per non parlare di fiera bensì di rilancio della nostra città.
Prossimi appuntamenti del ciclo Milano 2015. Verso l'Expo e oltre.